25 Marzo 2018 - 10:00

Il Premio, la recensione del secondo film di Alessandro Gassman

Il Premio

L’opera seconda di Alessandro Gassman, “Il Premio”, ha i ritmi distesi di un romanzo, trascinato dalla forza centripeta di Gigi Proietti

Lo scorso Giugno, Gigi Proietti riceveva il “Premio Viviani” nell’ambito della prima edizione della rassegna Cantieri Viviani, tenutasi a Castellammare di Stabia. Solo qualche mese dopo, l’attore di Febbre da Cavallo è approdato al cinema per interpretare il ruolo di uno scrittore, Giovanni, che viene insignito del Nobel per la Letteratura, nel secondo film da regista di Alessandro Gassman, “Il Premio”

Capitolo Uno: “Quando ci siamo messi in viaggio”

La cinepresa d Gassman racconta la storia dei Passamonte affidandosi ai tempi distesi di un romanzo. Al centro il titanico personaggio di Giovanni Passamonte, un contemporaneo bohèmien: non prende l’aereo per una questione etica che si vergogna a definire come mera paura di volare, non ama utilizzare le carte di credito ed ha una repulsione per i bagni delle stazioni di servizio.

Giovanni è spesso assente: la sua malinconia ruba il più delle volte la cinepresa, durante un viaggio che lo porterà a riscoprire se stesso ed a ritrovare il rapporto con i suoi figli: Oreste (Alessandro Gassman) e Lucrezia (Anna Foglietta).

Capitolo Due: “2 Gran Figli di…”

Oreste è un ex campione mancato di lotta greco-romana (che durante il film avrà l’occasione di riscattarsi) mentre Lucrezia è una blogger con il sogno di diventare scrittrice: ma come si fa, a non farsi fagocitare dalle aspettative quando hai i geni ed il cognome di un futuro Premio Nobel?

Il Premio” è, dunque, primariamente una lucida riflessione sul rapporto padri-figli. Sono due mestieri difficili, in cui spesso le idee di giusto e sbagliato ci confondono, in cui la lungimiranza del bene è spesso scambiata per male gratuito, subitaneo e lancinante.

Tutti i personaggi di questo romanzo in pellicola hanno le loro piccole manie: Lucrezia, per esempio, forse è solo alla ricerca di qualcuno che si accorga di lei, è per questo che tiene alta la bandiera della sua egocentrica individualità affidandola ad un bastone per i selfie. E così Rinaldo (Rocco Papaleo), il maggiordomo di Giovanni, ha perso se stesso cercando l’amore.

Capitolo 3:”La gente che abbiamo incontrato”

Probabilmente Giovanni parte anche per ritrovare la sua ispirazione che assomiglia sempre più ad un terreno arido. La cinepresa sembra la sua unica confidente quando constata: “Sono tre giorni che non piove”, e lo spettatore non capisce se si riferisca realmente alla situazione meteorologica o a ciò che è diventata la sua vita.

La verità è che Giovanni darebbe indietro tutti i premi ricevuti per riavere indietro un po’ del suo tempo. Il rapporto con le lancette dell’orologio è un altro dei temi del film: il signor tempo è al più un nemico da battere, a volte con soluzioni drastiche, come quella partorita dall’attrice Greta Bauer (Erica Blanc), amica e musa di Giovanni incontrata durante il viaggio.

Accettare il tempo vuol dire anche lasciarsi sorprendere dalla meraviglia del futuro: è quello che fa Giovanni quando, una volta a Copenaghen, incontra il nipote Andrea (il cantautore Wrongonyou che ha anche scritto il brano portante della colonna sonora, Shoulders) e si fa rapire dalla voce di Britta (Matilda De Angelis).

Gli occhi di Giovanni diventano la cinepresa stessa, il narratore onnisciente della vita che scorre piena di possibilità, in un locale di Copenaghen.

Capitolo Quattro: Quando ha cambiato idea

Prima di partire, Giovanni aveva pensato di arrivare a Stoccolma ed uscire di scena. Ma poi cambia idea e lo fa con un discorso finale che è un inno alla vita in comune: “Nessuno basta a se stesso”.

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