16 Marzo 2015 - 10:00

Il professor Patacchia, riflessione sull’anti-scuola

Il professor Patacchia

Il professor Patacchia è l’emblema della non-scuola, quella ipocrita e pretenziosa che allontana gli studenti dai banchi, e nell’opera di Roberto Altavilla diventa caricatura della società

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Recentemente presentato a Baronissi, “Il professor Patacchia”, opera prima di Roberto Altavilla, è un romanzo breve pregno di denuncia, ricco di riflessioni e caricature, che in maniera rapida e puntuale imbastisce e rappresenta in toto una non-scuola che ci perseguita fin dall’adolescenza e ormai siamo abituati a sopportare, più che ad accettare.

Il professor Patacchia è l’emblema del non-docente, un “favorito” che non merita il ruolo ricoperto, un maestro di vita mancato che diventa oggetto di scherno per i ragazzi ed il loro preside. L’intruso Raffaele Bianchi si presenta alla sua classe così, un po’ bulletto, un po’ inconsapevole della propria goffaggine, assumendo di volta in volta – nell’immaginario di studenti delle scuole medie – vari soprannomi come “patacca”, “canaglia”, “fallito” e, naturalmente, “Patacchia”. Il suo compito è quello d’insegnare tre materie fondamentali (italiano, storia e geografia), ma a stento ne conosce una delle tre e impara molto più dai ragazzi che da se stesso.

Il professor Patacchia

Roberto Altavilla, autore de “Il professor Patacchia”

Senza mezzi termini, Roberto Altavilla, autore del testo, tratteggia il flusso di pensieri che attraversa le menti degli alunni fin dal primo ingresso dell’autoritario quanto incompetente personaggio – facendo ricorso, se occorre, ad un gergo piuttosto “colorito” – e ripercorre, come in un rapido susseguirsi di episodi, l’intero anno scolastico fino alla sua tragicomica apoteosi.

Il professore in teoria per me è colui che dovrebbe professare qualcosa, ma non sempre è così. Ma nel professare molte volte perdiamo il professore, o meglio il professore nel professare a volte si perde. È il ritratto della scuola italiana, stigmatizzato in tutte le sue pecche, falsità ed ingiustizie, a partire dalle raccomandazioni di alunni e professori, per finire con un rapporto docente-alunno e genitore-docente impietoso e piuttosto carente dal punto di vista umano.

Una cosa che ho imparato dai grandi è che quando fai delle cose sbagliate nella vita poi te ne penti – ci avverte il protagonista – paghi sempre le conseguenze. E sarà questa la “spada di Damocle” che inevitabilmente ricadrà sulle sorti del presuntuoso non-professore, rendendolo oggetto di scherno per tantissimi ragazzi nel corso di una gita in montagna. Demolita la pura forma – o la pretesa di una sostanza inesistente – resta solo il vuoto, l’incompetenza pratica e teorica che, priva finanche di sensibilità e calore umano, genera solo sentimenti di rancore e ribellione in una generazione nostalgica, a metà tra l’infanzia e la maturità.

Il romanzo, edito da Vertigo Edizioni nella collana “Approdi”, viene definito da Alessandro Ceci nella prefazione l’emblema universale di un passato che intruppa al futuro, vi sbatte contro, senza accorgersene; come dimostra anche il protagonista e narratore della storia, Sergio, che quasi per inerzia si trova a rivestire i panni di un moderno Giamburrasca.

Una riflessione di scottante attualità, all’indomani del progetto della “buona scuola” renziana, che ne “Il professor Patacchia” evidenzia solitudini e carenze frutto di un’istruzione mai svecchiata, spesso ipocrita e lontana dalla sete di sapere dei ragazzi. Come sottolinea, giustamente, l’autore nelle ultime pagine del testo: la domanda sull’istruzione, chi dovrebbe porsela? Un romanzo da leggere e far leggere.

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