26 Novembre 2015 - 22:56

Vi Presento: Giulio Favero de “Il Teatro degli Orrori”

favero

In occasione della tappa a Bari del nuovo tour de Il Teatro degli Orrori, Zon.it ha incontrato il bassista Giulio “Ragno” Favero

[ads1] Con l’uscita dell’ultimo album, eponimo, la band italiana de Il Teatro degli Orrori ha cominciato un nuovo tour in giro per l’Italia. In occasione della data di domani 27 novembre a Bari, abbiamo incontrato il bassista, Giulio “Ragno” Favero, membro storico della band, e gli abbiamo fatto qualche domanda.
Nella vostra carriera il titolo dell’album era solito riprendere un brano o un concetto presente all’interno dello stesso. Questa volta avete voluto usare il vostro eponimo, il nome stesso della band. Perché?
Dopo vari tentativi, abbiamo capito che nessun titolo rappresentava al meglio il contenuto dell’album, sia dal punto di vista narrativo che da quello musicale. Però  ci siamo resi conto di quanto questo album ci rappresenti, è il primo disco in cui ci sentiamo definitivamente Il Teatro degli Orrori, nonostante ci siano due componenti nuovi. Così abbiamo deciso di dargli il nome della band , perché  l’album che abbiamo sentito più vicino alla nostra identità.
In più i testi delle canzoni parlano di quello che ci circonda, del mondo di oggi, quindi quale titolo migliore de “Il Teatro degli orrori”.
Avete affermato che si tratta di un album scritto con il contributo di tutti. Nei brani, la metrica è elaborata e ben studiata. Di solito scrivete prima i testi e poi la musica o viceversa?
Sempre prima la musica. C’è stata qualche eccezione, ma nella maggior parte dei casi è nata prima la musica, poi Pierpaolo ha lavorato i testi.
“Disinteressati e indifferenti” è una forte critica ai giovani d’oggi, che risultano essere dediti al piacere e menefreghisti della situazione contemporanea. Dunque, cosa dovrebbero fare i giovani d’oggi secondo te? Cosa possono fare per cambiare le cose?
Credo che debbano cercare l’equilibrio. E’ una cosa a cui si arriva sempre troppo tardi , invece si dovrebbe capire da subito che la vita non è fatta solo di divertimento e intrattenimento.
Bisognerebbe smetterla di allontanarsi da quelli che sono i concetti etici più elementari, tanto prima o poi ci dovrai avere a che fare comunque.

E’ difficile dire cosa possono fare per cambiare le cose, potrei dire tutto e niente, visto come va avanti il mondo oggi. E’ un mondo in cui anche se cerchi di essere solidale con il prossimo, arriverà sempre qualcuno a distruggere quello che tu stai cercando di costruire.
Pierpaolo è molto critico con le nuove generazioni, io lo sono un po’ meno perché so che quando eravamo giovani noi eravamo, forse, anche peggio. E comunque il mondo di oggi non è in mano ai giovani, è in mano ai giovani di una volta. E se i giovani di una volta avessero raggiunto un equilibrio etico e morale prima, probabilmente il mondo oggi sarebbe diverso.
In cosa, secondo te, sono diversi i giovani d’oggi rispetto a come eravate voi da giovani?
Io non ho molti rapporti con i giovani. Li vedo ai concerti, ma sicuramente non abbiamo un pubblico di quindicenni, quindi non sono a stretto contatto con i giovani di oggi. Posso dire che siamo cresciuti in due mondi completamente diversi, sotto molto aspetti: quello della comunicazione in primis. Una volta la comunicazione era molto più lenta sia nel sociale che nel privato. Altro aspetto è del lavoro, che per noi era molto più presente, io stesso a sedici anni sono andato a lavorare in fabbrica.
Oggi, sembra che il virtuale si sia spostato nella vita delle persone. Il sogno prevale sulla realtà. Le nuove generazioni, circondate dalla tecnologia, sono sempre proiettate in una vita diversa da quella che realmente vivono.
Anche il semplice conoscere una ragazza o un ragazzo, oggi, accade su internet, tralasciando la conoscenza vera, che può essere molto diversa da quella virtuale. Io farei precipitare tutto nella realtà, per terra, perché mi sembra che sia un po’ tutto troppo campato in aria.
Pensi che parte del problema sia nei media che, al giorno d’oggi, esaltano miti senza valore (come i calciatori e i rapper, citati in “Disinteressati e Indifferenti”), proponendo modelli di vita amorali e sicuramente diversi dai modelli proposti in passato?
Oggi non c’è una vera diversificazione, tutto tende ad andare nella stessa direzione. A tenere davvero a cuore la cultura c’è una minoranza molto esigua.
Di conseguenza i miti risultano essere dei “personaggiucoli”, rispetto ai miti che avevamo noi da giovani. Per fortuna io i miti di oggi non li conosco neanche, ma se devo pensare che Fedez è un mito per i giovani di oggi, quando per me un mito era Jello Biafra  , viaggiamo proprio su due pianeti diversi.
All’epoca c’era una cultura imposta dalla tradizione, e dei personaggi che erano “controculturali”. Oggi invece un mito te lo scegli, ma se ci sono miti come Fedez, Il Volo, gli One Direction o, passando alla politica, Beppe Grillo e Salvini, penso che siano tutti abbastanza raccapriccianti.
Poi, personalmente, credo che i miti vadano distrutti. Possono essere una guida, ma non un obiettivo. Dovremmo pensare pià a scavare dentro noi stessi piuttosto che cercare di trovare risposte altrove.
In una situazione simile, a cosa può servire la musica? Quali obiettivi vi ponete?
Noi  abbiamo mai pensato di dover diventare “una bandiera” o “un mito”.
La nostra musica è radicata nel post-punk, un genere molto politico che spesso “puntava il dito”, ed è quello che spesso facciamo anche noi.
il-teatro-degli-orrori-cover-300x300Oggi non so cosa possiamo fare, ci auguriamo di riuscire almeno a far pensare chi ci ascolta, a non far dimenticare, come nel caso di “Genova” o puntare il dito contro chi ci imbroglia, come nel caso de “Il lungo sonno”. Non abbiamo il potere di cambiare le cose, ma vorremmo che cambiassero e cerchiamo di contribuire con la musica.
In “Lavorare Stanca” parlate di “Un Paese che non cambia perché non vuole cambiare”. Emerge sicuramente tanta rabbia, ma è una rabbia che porta alla rassegnazione o ad avere ancora più voglia di combattere?
Forse è una rabbia che nasce dalla rassegnazione. Sembra che gli altri siano rassegnati a vivere la vita di ogni giorno senza neanche provare a renderla meravigliosa o almeno migliore.
La rabbia che abbiam dentro è sicuramente dovuta a questa stasi, non solo italiana ma mondiale.
In particolare nella canzone si parla del lavoro, visto come ladro del tempo. Oggi si lavora così tanto che d’improvviso ci si ritova vecchi, e la vita si è persa. E non c’è neanche la passione e la motivazione per il lavoro che avevano i nostri nonni: prima si lavorava per crearsi un futuro, crearlo ai propri figli e ai propri nipoti. Oggi il lavoro è arrivare a fine mese, e non è certo un bel modo di vivere.
Le vostre sono canzoni che riportano critiche dirette. Non vi siete mai preoccupati di dire la vostra, senza peli sulla lingua. Vi siete mai pentiti di questa scelta?
No, francamente no. Sicuramente a nessuno piace “essere additato”, quindi questo ci ha portati ad essere un gruppo un po’ “antipatico”: trattiamo temi di cui secondo molti non si dovrebbe trattare, e lo facciamo in modo irriverente. Ma noi, a differenza degli altri, abbiam le idee chiare, e nessun pentimento.
Forse proprio per questo avete un pubblico ben preciso, non siete un gruppo “per tutti”. Siete contenti di essere così, quasi elitari, o preferireste agire su vasta scala?
Sarebbe bello che Il Teatro degli orrori lo ascoltassero tutti, perché i concetti espressi toccano tutti, nessuno escluso. Musicalmente non siamo facili ma non siamo neanche così difficili. Perfino la musica popolare del passato era molto più complessa di quella di oggi, ma non per questo di difficile ascolto. Credo che sia una questione di pigrizia e poca voglia di informarsi.
Fuori dall’Italia ci sono gruppi, come i Rammstein, che di sicuro non sono un gruppo pop, ma hanno piegato il mercato verso di sé, senza piegarsi al mercato. Hanno un pubblico incredibile pur facendo una musica complessa e cantando in una lingua ostica come può essere il tedesco.
Comunque il nostro pubblico è uno dei migliori secondo me, soprattutto perché è eterogeneo, va dal ragazzino all’uomo di una certa età, e questo è molto bello perché vuol dire che, nel suo piccolo, funziona. Nel grande chissà, magari funzionerà quando saremo morti.
Il problema del Teatro degli orrori è che in Italia non c’è spazio per la musica alternativa in quello che è il “mainstream”. Qui possiamo avere Emma Marrone e simili, musica di intrattenimento fine a se stessa che porta ad un assopimento, addormenta, è musica di superficie.
Pensi che la scelta di cantare in italiano sia un limite per voi?
Penso che quest’idea di poter diventare intenazionali solo cantando in inglese sia un po’ un luogo comune. Bocelli e Paolo Conte sono famosi in tutto il mondo e cantano in italiano. Non credo sia un problema linguistico, il problema è uscire dal proprio Paese, perché per farlo devi avere una determinata forza IN quel Paese.
Poi chissà, magari il prossimo disco lo facciamo in inglese, perché siamo matti.
Durante un’altra intervista hai affermato che suonare dal vivo questo album non sarebbe stato facile. Avete ormai fatto più di dieci date, lo pensi ancora?
Mi smentisco clamorosamente. Sicuramente è un disco difficile da suonare, ma il problema era più che altro legato al lavoro di cori che è stato fatto sulle canzoni. Mi sembra che ce la stiamo cavando egregiamente, anzi ho l’impressione che sia molto più semplice di concerti passati.
Domani terrete il primo e unico concerto di questo tour in Puglia. Come sai, in questa Regione è molto forte il dibattito tra cura dell’ambiente e possibilità lavorative, per la presenza di fabbriche come l’Ilva o per le numerose discariche. Cosa ne pensi?
Il problema è che, in casi come quello del’Ilva, a rimetterci sono le persone che non hanno poteri decisionali. Chi subisce è in un vicolo cieco, non affronta nessun dibattito, nessuna scelta. Coloro che hanno il potere di decidere, i veri responsabili, non ne risentono minimamente, e purtroppo non c’è nessuno che li costringe ad assumersi le loro responsabilità.
Io non sono un tecnico, non so bene come si può fare ma sono abbastanza sicuro che queste fabbriche possano essere messe a norma e questo porterebbe altro lavoro piuttosto che toglierlo, ma il problema è: quanto costa? E a chi conviene farlo?
Perchè chi dovrebbe occuparsene probabilmente preferisce lasciar morire le persone piuttosto che rimetterci economicamente. Bisognerebbe davvero andar con le forche davanti a casa di questi speculatori ecostringerli a fare qualcosa.
Del resto è da anni che la produzione è messa davanti alla sicurezza, e in una società in cui il modello da seguire è questo, è quasi normale che si vada allo sbando fino a situazioni come simili.
E’ una vera ingiustizia, proprio un’ingiustizia di classe. A me dà fastidio la trappola in cui le persone si sono ritrovate, perché non si può rinunciare al proprio lavoro per salvaguardare la propria salute, questa cosa è infame.
Si sa che i potenti non pagano mai, ma mi verrebbe da dire “State tutti a casa, tutti, non andate a lavorare, metteteli in ginocchio.”. Infondo sono le persone a fare le fabbriche, se si vincessero determinate paure… Ma mi rendo conto che è una situazione delicata, che di sicuro è imposta e non voluta. E ovviamente sono argomenti molto delicati che non andrebbero trattati così, perché sembra quasi di svilire il dramma e non vorrei assolutamente, ma è davvero una cosa scandalosa e spero che si riesca a venirne a capo.
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