21 Novembre 2016 - 13:37
Emergenza sisma, ZON intervista volontaria Protezione Civile Bellizzi
Dopo il violento terremoto che ha colpito le popolazioni del Centro Italia, ZON ha intervistato una volontaria della Protezione Civile Bellizzi
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ZON ha intervistato Emilia Esposito, volontaria alla prima esperienza in emergenza. La Protezione Civile Bellizzi può vantare grande esperienza durante le emergenze, avendo prestato soccorso per eventi calamitosi a carattere nazionale e internazionale quali: Terremoto Centro Italia (2016), Terremoto in Emilia (2012), Terremoto in Abruzzo (2009), Terremoto in Molise (2002), Guerra nei Balcani, Emergenza in Kosovo (1999) Alluvione di Sarno (1998 ).
Questa è stata la tua prima esperienza durante un’emergenza. Com’è stato partecipare in prima linea ad un’operazione del genere?
Ho cominciato a maturare il desiderio di fare un’esperienza del genere dai tempi del terremoto a L’Aquila nel 2009, quando avevo solo 12 anni. Inizialmente, quando mi è stato proposto di partire, mi son tirata indietro, mi son sentita una goccia nell’oceano: incapace, inesperta, e soprattutto senza esperienza. Però mi è stato fatto capire che l’esperienza si fa lavorando, che “una goccia in più cambia il peso del mare”, e che partire sarebbe stata l’occasione giusta per concretizzare quello a cui aspiravo da anni. Fare un’esperienza del genere mi ha reso una persona migliore. Ho imparato tanto, sia dal rapporto con le persone del posto, sia dal rapporto con gli altri volontari. Se mi avessero chiesto di restare lí altro tempo, non avrei esitato.
Quando sei arrivata su luogo d’emergenza, qual è stata la tua prima impressione?
Appena siamo arrivati, sabato 5 novembre, il campo era ancora in fase di allestimento. C’erano solo alcune strutture, palestre e palazzetti sportivi, adibiti con letti e brande. Mancavano la mensa e la cucina. La prima impressione che ho avuto è stata quella di stare al posto giusto nel momento giusto. Lì c’erano già almeno trenta volontari di associazioni consorelle appartenenti alla PROCIV. Arci alle prese con il montaggio di una tendo-struttura che avrebbe fatto da riparo agli sfollati durante la giornata, o comunque, durante i pasti. Cominciava a piovere, il vento era forte e faceva molto freddo e vedere che i volontari erano arrivati da tutta Italia per prestare soccorso, mi ha riempito il cuore di gioia. Questo è stato il sentimento che, credo, ci ha legati tutti sin dall’inizio, anche senza conoscerci. Lavorare insieme per uno scopo comune: trasmettere a ogni singolo cittadino di Castelraimondo (MC) il calore di una grande famiglia, e far sentire a casa anche chi una casa non l’aveva più.
Quali sono state le difficoltà maggiori riscontrate da te e dagli altri volontari?
Appena ci è stata assegnata la destinazione, il mio primo pensiero è stato informarmi sulla situazione che avrei trovato lì una volta arrivata, come avrei potuto contribuire e, soprattutto, in cosa sarei potuta essere utile. Ma la mia più grande paura, sin dall’inizio, è stata quella di dire qualcosa di sbagliato. Supportare persone che hanno perso tutto da un giorno all’altro non è una cosa semplice, e molto spesso bisogna fare attenzione alle parole che si dicono e agli atteggiamenti che si assumono. Fortunatamente però, quando si ama quello che si sta fa, risulta tutto un po’ meno difficile. Le persone, prima di ogni cosa, avevano bisogno d’amore, e d’amore da donare ne avevamo un’infinità.
Com’è stato collaborare con gli altri volontari?
Il rapporto con gli altri volontari è stato tranquillo sin dal primo giorno. Quando l’obiettivo da raggiungere è lo stesso, quando si viaggia sullo stesso binario, non più veloce, non più lento, è difficile che ci siano disguidi. E così è stato tra noi. La prima sera che abbiamo cenato insieme sembravamo una grande famiglia, dopo pochi giorni noi giovani eravamo già diventati “nipoti” dei volontari più grandi. Quando si forma un gruppo come quello formatosi tra di noi, collaborare diventa molto semplice. Oltre a un ottimo lavoro di squadra, sono nate anche tante belle amicizie, e questo ha fatto sì che fosse un’esperienza ancora più intensa… una di quelle che, al ritorno, ti svuota le valigie e ti riempie il cuore.
Come si è relazionata con voi la popolazione terremotata?
Dialogare con le persone terremotate era quello che temevo, ma anche quello che speravo di fare meglio. Osservando gli sfollati, sin dai primi giorni, mi è parso che al di là di un pasto caldo, di una coperta, avessero maggiormente bisogno di sicurezze, protezione, e di non sentirsi soli. Si rasserenavano anche solo nel vederci sorridere. “Mi fa sentire meglio”, disse una signora. Ci hanno subito ringraziato per il solo fatto di essere presenti, di aver lasciato tutto, la famiglia, la scuola, la casa, per andare lì e stare insieme a loro. Gli anziani avevano bisogno di raccontare il loro passato, di pensare ai momenti belli che nella vita hanno trascorso, e perché no, confidare anche qualche disgrazia. Per i bambini, invece, è stato un po’ diverso. Quando si è molto piccoli forse neanche si comprende la gravità della situazione, e stando insieme ad altri ragazzini, sembra quasi un gioco, ma siccome non lo è, è stato giusto cercare di non cambiare le loro abitudini. Li abbiamo aiutati nei compiti, abbiamo permesso che ci scombinassero i capelli, che ci portassero allo sfinimento. Cose che oggi, con orgoglio, mi rendono la persona più felice del mondo. Tornata a casa, ancora mi chiamano, mi inviano foto, mi hanno regalato braccialetti, disegni, che porterò sempre con me.
In quale condizioni versava la città e, soprattutto, la popolazione?
Il Comune di nostra destinazione si trova in provincia di Macerata, nelle Marche. Fortunatamente non ci soni stati gravi danni rispetto ai comuni vicini, ma purtroppo la situazione è comunque soggettiva. Tra gli sfollati c’erano persone che avevano paura di tornare a casa, persone che aspettavano i sopralluoghi degli ingegneri interessati al sisma, ma anche persone che un tetto non lo avevano più. E sono queste le persone alle quali il nostro scopo era dedicare più tempo, più attenzioni, più amore.
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