6 Maggio 2016 - 09:10

Linda Laura Sabbadini: quando le donne non contano

Linda Laura Sabbadini

Il recente caso di Linda Laura Sabbadini, declassata da direttrice Istat a ricercatrice, offre spunti di riflessione sulla parità di genere nel mondo del lavoro, e sulla donna al potere

[ads1]

Linda Laura Sabbadini. Contare è una delle prime cose che bisogna fare nella vita, come nelle Statistiche per le Scienze Sociali.  Esistono persone che riescono a far quadrare i conti, e a trasformarli in cifre ragguardevoli. Bisogna avere i numeri del successo, in poche parole. Sì, è dura ammetterlo per chi si ciba di lettere, ma la vita è tutta una questione di numeri.

Soprattutto per chi ci lavora, rendendoli fatti, persone, trasformando esperienze collettive in dati oggettivi, in simboli che hanno il compito ingrato di rappresentare una condizione che accomuna, come faceva Linda Laura Sabbadini, ormai ex direttrice dell’Istat. Lei ha praticamente inventato le statistiche di genere, occupandosi di riportare in maniera scientifica segmenti della società come la povertà, le discriminazioni come quella etnica, e per aver visionato la drammatica situazione delle donne, della violenza di genere, e sui bambini. Ancor prima di laurearsi è stata assunta dall’Istat ed ha lavorato per fare in modo che l’oscurantismo nel quale viveva e, purtroppo, vive tutt’ora, l’Italia, fosse illuminato dal freddo riflesso della lente dell’obiettività. Inoppugnabile, inesorabile, derivata comunque dal feedback di a una pluralità di soggetti.

Linda Laura Sabbadini

Linda Laura Sabbadini: quando le donne non contano

Il suo caso ha sollevato un polverone (non solo) mediatico, per le motivazioni assolutamente inadeguate del suo declassamento da dirigente a ricercatrice. Non che questo compito sia disdicevole, tutt’altro, ma non sarebbe un po’ come la testa di cavallo nel letto durante una scena de “Il padrino”? Un avvertimento. Per qualsiasi donna che, come la Sabbadini, si azzardi alla scalata verso la vetta.

Indagare sul disagio, sulla povertà, su violenza e disuguaglianza infatti produce un’immagine decisamente poco appetibile e desiderabile del nostro paese nel mondo. Probabilmente il suo operato infastidiva alcuni partiti e vertici governativi, da sempre tristemente noti per essere a maggioranza maschile; ed i cui interessi non avrebbero potuto perdurare se i loro intrallazzi fossero usciti allo scoperto, facendoci deridere ugualmente. Un esempio calzante di queste insabbiature è quello postumo alla pubblicazione di dati inerenti al settore lavorativo, effetto delle scelte sbagliate della classe dirigente ed in netta contraddizione con le aspettative del Jobs Act.

Una donna che come lei ha guadagnato quel che ha ottenuto con studio e sacrifici, persino l’onorificenza di Commendatore della Repubblica nel 2006, per quale motivo avrebbe dovuto essere eliminata dal suo incarico? Le risposte ipotetiche si possono ritrovare nello stesso incipit: non era conveniente perché aveva i numeri. In tutti i sensi.

Questa non è solo una questione femminile, anche se forse il suo genere ha viziato inevitabilmente le stime sul suo lavoro, ma anche e soprattutto di meritocrazia. Ed essa non deve avere alcuna connotazione sessuale. Purtroppo questa meschinità ha confermato il pensiero mediocre di un’Italia apatica e luogocomunista: che la verità non conta e, se è una donna a dirla, ancora meno.

La verità è che i numeri contano. Le donne però non hanno i numeri. Per questo le donne non contano. [ads2]