12 Agosto 2015 - 14:11

Mascolinità ce l’hai? Un master per gli uomini confusi

mascolinità confusa

Preferisci un “uomo buono” o un “uomo vero”? Qual è la differenza? Oggi c’è un master sulla mascolinità per gli uomini che hanno dubbi sulla propria virilità

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La mascolinità, secondo Wikipedia, è quell’assieme di qualità, caratteristiche o ruoli generalmente considerati tipici, o più opportuni, per un maschio; il suo opposto può esser espresso dal termine effeminatezza. Ma se qualche uomo non ha capito bene il significato della frase precedente, e soprattutto, non ha inteso come e dove essere maschio, c’è un master che spiega come fare.

Per capire se si ha bisogno di studiare in modo più approfondito i testosteroni, pensate a cosa vuole dire esser un «uomo buono». Fatto? Ora pensate a cosa vuole dire essere un «vero uomo». Bene, avete appena partecipato alla prima lezione del master in «Studi sulle mascolinità» del professore di sociologia Michael Kimmel, che dirige il Center for the Study of Men and Masculinities alla Stony Brook University, Stato di New York.

In effetti il concetto non è molto semplice, la mascolinità viene spesso presa sotto gamba” e sottovalutata, infatti, in ogni inizio o in ogni fine dei discorsi strappalacrime funebri, ritroviamo la locuzione «era un brav’uomo», molto probabilmente anche al funerale di Joker, Batman s’è dovuto subire l’elogio funebre per il pagliaccio con il vizietto del gioco; un espediente narrativo efficace, oltre che macabro e formidabile lapsus (vuole celebrare il funerale del vecchio maschio monolitico). Il professore Kimmel inizia a parlare di mascolinità con la frase che tutti sentiamo ai funerali, successivamente traccia sulla lavagna, di fronte ai suoi studenti, due colonne: da una parte «l’uomo buono» cioè premuroso, altruista, onesto; dall’altra il «vero uomo»: autoritario, che sa rischiare, che vince la debolezza, che cammina come un duro, quello che non piange mai, tutte caratteristiche suggerite dagli studenti.Ci sono molti modi di essere uomini” ha chiosato Kimmel, che spiega come la teoria di genere, vessillo del femminismo e delle comunità omo e bisex, vada applicata anche ai maschi.

berlinguer3 mascolinità

Scena film Berlinguer ti voglio bene

Una materia di studio alquanto ambigua, materia da far esultare le neo-femministe e da far scattare sull’attenti le sentinelle cattoliche allarmate. Se si pensa agli uomini che oggi chiamiamo “zii”, ai film di natale degli anni 90 con De SicaJerry Calà, l’uomo molto mascolino è quello che si vede rapito da una passione inspiegabile per i panettoni, femminili. Se ricordiamo i post-comunisti italiani, gli uomini che oggi chiamiamo “nonni”, le sale cinematografiche del 1977 con un Berlinguer ti voglio bene di Giuseppe Bertolucci, e un Roberto Benigni che sembra uno sfigato, ma pur sempre uno convinto che le femmine son tutte belle da guardare e consumare, ricordiamo gli anni 70 dove le donne iniziavano a stancarsi di lavare le magliette e le mutande degli uomini lavoratori, anche allora un piccolo dubbio sulla mascolinità c’era, infatti nel film sopra citato un uomo lamenta, bofonchiando in toscano, che si sta trascurando il punto di vista maschile: «La donna, la donna, la donna… ma l’uomo?».

Ma l’uomo molto probabilmente non è mai stato confuso, il professor Kimmel forse sottovaluta l’importanza delle mode: i pantaloni stretti, le sopracciglia a gabbiano, la camicia rosa confetto, che fanno il maschio, un maschio coraggioso. L’essere un “uomo buono” è essere un maschio vintage: aprire la portiera o aprire il portafogli; l’essere un “vero uomo” è essere un maschio senza mammà e difficoltà.

Non resta che un dubbio, di genere accademico: un master sulla mascolinità è un buon master? Ed è anche un master vero?

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