24 Ottobre 2019 - 08:00

Miserere: quando il modello “da seguire” diventa Lanthimos

Miserere

Nel primo film di Babis Makridis, Miserere, assistiamo ad una black comedy che turba lo spettatore. Il tutto senza tralasciare la socialità del racconto

Molti, da un po’ di anni a questa parte, parlerebbero di una vera e propria rinascita del cinema greco. Per un bel periodo, infatti, gli ellenici sono rimasti come “ingolfati”, agitandosi e cercando di scostarsi dai fantasmi dei grandi come Theo Angelopoulos o Costa-Gavras. Con l’albore del secondo decennio degli anni 2000, invece, stiamo assistendo ad un vero e proprio rifiorire della cultura ellenica. Tra i film “deputati” a questo grandissimo evento può essere sicuramente inserito Miserere.

Si tratta di un’opera prima. A dirigere, per la sua seconda volta, è Babis Makridis, che è un talento in erba sulla scia dei suoi “colleghi” Alexandros Avranas e soprattutto dall’ormai famigerato a livello internazionale Yorgos Lanthimos. Proprio da quest’ultimo, Makridis prende “un pezzo” bello grande. Il fidato collaboratore di Lanthimos, infatti, tale Efthymis Filippou, con cui il regista ha scritto tutti i suoi film tranne il reduce dagli Oscar La Favorita, si presta per l’appunto allo script di Miserere insieme ad un nuovo collaboratore. Inutile dire che ciò che ne deriva è qualcosa che fa molto l’eco alle prime pellicole lanthimosiane, soprattutto a Dogtooth e The Lobster.

Ad esse, però, si aggiunge un senso di tristezza e di beffa che rappresenta una vera e propria novità per il panorama cinematografico mondiale. Sapientemente, il regista sceglie di raccontare sì la vita borghese greca, come hanno fatto i suoi predecessori, ma di porgli accanto un tono spietato, cinico e ironico allo stesso tempo. Il risultato è un piccolo capolavoro di commedia nera, che fa della compassione e dell’apatia le sue principali “ispirazioni”.

Pronti a calarvi nel mondo “singolare” di Miserere?

Tristezza a comando

La trama di Miserere è ai limiti del surreale, calcando ancora una volta la mano su uno degli aspetti fondamentali del nuovo cinema greco. Protagonista del film è un avvocato (il cui nome non viene mai pronunciato nel corso del film) disperato a causa di un incidente che ha costretto al coma sua moglie. Proprio questo episodio ha cambiato la sua vita: egli sperimenta cosa significhi la pietà del mondo.

Tutti con lui si comportano in maniera compassionevole, dalla vicina che gli regala torte agli abbracci della segretaria a ogni congedo. Quel sentimento di commossa e intensa partecipazione umana lo appaga pienamente. Il trend, però, si inverte quando sua moglie si risveglia. Lì, l’avvocato comprende in che modo la commiserazione sperimentata di recente sia divenuta per lui necessaria come una droga.

Infelice all’idea di essere felice per sempre, cova l’impulso malato di ricadere nel “miserere”, come una sorta di droga. Per riavere di nuovo un briciolo di misericordia è disposto a tutto, anche ad un atto estremo (che non spoilereremo).

Il mondo alla rovescia

Babis Makridis si dimostra (sempre in coppia con Filippou) velenoso e provocatore come solo Yorgos Lanthimos sa fare. La natura “malsana” e grottesca del film si palesa subito, rendendo Miserere un intriso di ironia nera e di paradossi che rendono l’intera vicenda surreale agli occhi di chi la percepisce.

La pellicola si materializza come un’aspra satira sulla compassione e sul dolore forzato“, quasi come se piangere fosse una malattia da cui guarire. E c’è un solo rimedio da adottare: essere più socievoli. Il silenzio, paradossalmente, però, diventa la misura del tempo del racconto, che riesce a tendere lo spettatore come una corda e a farlo incuriosire minuto dopo minuto fino ad un esplosivo, beffardo ed estremo finale.

Merito di tre fattori fondamentali. Il primo è la sceneggiatura di Filippou, che regala le giuste atmosfere stranianti e disturbanti allo spettatore. Il secondo risiede nella regia notevole di Makridis, con molti campi larghi fissi e simmetrie che rasentano quasi l’ossessività (rendendo per bene l’atmosfera). Il comparto tecnico, inoltre, con la sua fotografia asettica, riesce a ricalcare ottimamente gli stilemi del nuovo cinema greco.
Il terzo, invece, è tutto da attribuire a Yannis Drakopoulos. Nei panni del protagonista, l’attore rende una performance mimicamente pazzesca, nevrotica, perfetta nel restituire allo spettatore la follia del mondo borghese greco.

Questa combine rende il panorama asfissiante e incredibilmente teatrale. In molti punti, infatti, è molto tangibile il contatto con la tragedia e con la commedia greca, facendo riflettere lo spettatore sulle sfaccettature dell’animo umano, dall’inquietudine al divertimento fino a sfociare nella violenza. Una violenza che segna l’effettiva perdita d’innocenza di un uomo ordinario.

Nulla di nuovo sotto il sole

Ma Miserere non ha solamente attributi positivi. Se si può riconoscere una colpa a Makridis, è quello di non esplorare “nuove lande” del territorio del cinema greco. Rifacendosi a Lanthimos, ma anche ad Avranas (soprattutto al suo meraviglioso Miss Violence), l’autore pecca di originalità, mostrando una certa affinità con la “Greek Weird Wave“, di cui copia perfettamente gli stilemi.

Certo, stiamo pur sempre parlando di un’opera prima uscita con un bel po’ di ritardo rispetto all’inizio della poetica (Dogtooth è ormai del 2009), ma nel frattempo gli altri autori si sono evoluti, pur restando ancorati alle proprie radici. Inutile dire, inoltre, che il film alcune volte si trascina davvero troppo, risultando eccessivamente “macchinoso” in alcuni punti.

Il ritmo è lento e molto dialogato, rendendo Miserere non appetibile al pubblico “classico”. Anzi, a quest’ultimo potrebbe sembrare un film banale ed incomprensibile. Ma si tratta di un affresco di realtà contemporanea di una delle nazioni uscite più disastrate dalla famosa crisi economica del 2008. Uno spaccato d’attualità cupo, grottesco e cinico, ma fondamentale.