12 Dicembre 2016 - 16:24

“Caro Nobel, ti scrivo”: la risposta di Bob Dylan

nobel

“Le mie canzoni sono letteratura?”: a chiederselo è Bob Dylan nella lettera di ringraziamento indirizzata alla commissione del tanto dibattuto Premio Nobel

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Patti Smith canta Bob Dylan durante l’assegnazione del Nobel

Dopo giorni di lungo silenzio, causando non poche e spesso vacue discussioni sul web e dintorni, giunge il ringraziamento di Bob Dylan per l’assegnazione del dibattuto Premio Nobel.

Mai come quest’anno l’assegnazione dell’ambito premio è stato protagonista di un tale pathos: prima il colpo di scena dell’assegnazione del premio al celebre musicista, poi il continuo fuggi-fuggi, per non parlare degli incessanti impegni dell’artista messi sotto il microscopio dal tribunale del web, delle costanti e non richieste supercazzole dei presunti filosofi e avventori della letteratura, e infine la commozione di Patti Smith.

Insomma nell’ultimo mese, internet e i social, hanno avuto parecchio di cui discutere.

Il musicista Bob Dylan, totalmente alla mercè dell’opinionismo spicciolo, è stato chiamato nei modi più disparati, oscillando tra epiteti di elogio (“eroe”, “genio”, “ribelle”) e di disprezzo (“sbruffone”, “vecchio”, “ignorante” e il deluchiano “cafone”).

Ancora una volta il web ha dato prova di dover necessariamente schierarsi tra un “pro” e un “contro” avendo perso totalmente la capacità di argomentare un fenomeno.

E in un mare in tempesta ancora agitato dall’ardua lotta dei pro-Bob e i contro-Bob, giunge inaspettatamente a ciel sereno la lettera di ringraziamento scritta dal musicista, bloccato per impegni precedenti e impossibilitato a presiedere alla consegna del premio.

Di seguito proponiamo il testo intero della lettera (qui il testo originale in inglese).

“Buonasera a tutti.

Mando il mio più caloroso saluto ai membri dell’Accademia svedese e a tutti gli altri ospiti illustri presenti questa sera.

Mi dispiace non poter essere con voi di persona, ma sappiate che sono sicuramente con voi in spirito, e onorato di ricevere un premio così prestigioso. Essere premiato col Nobel per la letteratura è una cosa che non avrei mai potuto immaginare o prevedere. Fin da piccolo, ho conosciuto, letto e assorbito le opere di coloro che sono stati ritenuti degni di un tale riconoscimento: Kipling, Shaw, Thomas Mann, Pearl Buck, Albert Camus, Hemingway. Questi giganti della letteratura, le cui opere sono insegnate in aula, ospitate nelle biblioteche di tutto il mondo, e di cui si parla con toni riverenti, mi hanno sempre fatto una profonda impressione. Che ora il mio nome si aggiunga a quelli di un elenco del genere va veramente oltre qualsiasi parola.

Non so se questi uomini e donne abbiano mai pensato di ricevere un giorno un Nobel, ma suppongo che chiunque scriva un libro, una poesia o uno spettacolo teatrale, in qualsiasi parte del mondo, possa serbare questo sogno segreto nel profondo di sé. Probabilmente è sepolto così in profondità che non se ne rendono nemmeno conto.

Se qualcuno mi avesse mai detto che avrei avuto una minima possibilità di vincere il premio Nobel, avrei pensato di avere circa le stesse probabilità di camminare sulla luna. Per dirne una, nell’anno in cui sono nato e per alcuni anni in seguito, nessuno al mondo è stato considerato abbastanza degno di vincere questo Nobel. Quindi mi rendo conto di far parte di una compagnia molto ristretta, a dire il meno.

Ero in tour quando ho ricevuto questa notizia sorprendente, e mi ci è voluto più di qualche minuto per elaborarla a dovere. Ho cominciato a pensare a William Shakespeare, il grande esempio di figura letteraria. Suppongo che Shakespeare si definisse un drammaturgo. Il pensiero che stesse scrivendo della letteratura non gli sarebbe proprio passato per la testa. Le sue parole erano scritte per il palcoscenico. Destinate a essere recitate, non lette. Mentre scriveva l’Amleto, sono sicuro che pensasse a un sacco di cose diverse: “Chi sono gli attori giusti per questi ruoli?”, “Come dovrebbe essere messo in scena?”, “Voglio davvero ambientarlo in Danimarca?”.

Bob Dylan da giovane

La sua visione creativa e le sue ambizioni erano senza dubbio in prima linea nella sua mente, ma c’erano anche le questioni più banali da considerare e affrontare: “La parte finanziaria è a posto?”, “Ci sono abbastanza buoni posti a sedere per i miei mecenati?”, “Dove lo trovo un teschio umano?”. Scommetto che la cosa più lontana dalla mente di Shakespeare fosse la domanda “Questa è letteratura?”.

Quando ho iniziato a scrivere canzoni da adolescente, e anche quando ho iniziato a raggiungere una certa fama per le mie capacità, le mie aspirazioni per queste canzoni non arrivavano chissà quanto lontano. Pensavo che avrebbero potuto essere ascoltate nei caffè e nei bar, e forse più avanti in luoghi come la Carnegie Hall o il London Palladium. Se proprio volevo sognare in grande, forse avrei potuto immaginare di arrivare a fare un disco e poi sentire le mie canzoni alla radio. Nella mia testa, era quello il grande risultato. Fare dischi e sentire le tue canzoni alla radio voleva dire raggiungere un grande pubblico, e sperare di poter continuare a fare quello che ti eri riproposto di fare.

Beh, io ho fatto quello che mi ero riproposto di fare da molto tempo, ormai. Ho realizzato decine di dischi e suonato in migliaia di concerti in tutto il mondo. Ma sono le mie canzoni il centro vitale di quasi tutto quello che faccio. Sembra che abbiano trovato posto nella vita di molte persone in molte culture diverse, e per questo mi sento grato.

Ma c’è una cosa che devo dire: come performer ho suonato per 50mila persone e per 50, e posso dirvi che è più difficile suonare per 50 persone. 50mila persone hanno un’unica personalità, con 50 non è così. Ogni persona ha un’identità separata e individuale, un mondo a sé stante. Riescono a percepire le cose in modo più chiaro. La tua onestà, e come questa si relazioni alla profondità del tuo talento, viene messa alla prova. Il fatto che il comitato dei Nobel sia così ristretto mi onora, dunque.

Ma, come Shakespeare, anch’io sono spesso occupato con il perseguimento dei miei sforzi creativi e ho a che fare con tutte le varie questioni banali della vita. “Chi sono i migliori musicisti per queste canzoni?”, “Sto registrando nello studio più adatto?”, “Questa canzone è nella tonalità giusta?”. Certe cose non cambiano mai, neanche dopo quattrocento anni.

Non una volta ho avuto il tempo di chiedermi: “Le mie canzoni sono letteratura?”.

Dunque ringrazio l’Accademia svedese, sia per essersi disturbata a prendere in considerazione questa specifica domanda e, in ultimo, per aver dato una risposta così meravigliosa.

I miei migliori auguri a tutti voi,

Bob Dylan

“Le mie canzoni sono letteratura?” La domanda di Bob Dylan all’Accademia del Nobel

Con questa lunga e sentita lettera, Bob Dylan avrebbe dovuto chiudere l’acceso dibattito. Eppure, in qualche modo, le sue parole vestite di ringraziamento non fanno altro che ufficializzare il dubbio collettivo che in questi ultimi giorni ha attraversato i nostri pensieri: cos’è la letteratura?

Un dubbio di certo non nuovo. Infatti la commissione del Nobel non ha compiuto una sì grande ribellione nei confronti delle “limitanti” distinzioni di genere, essendo la Letteratura argomento in via di evoluzione ormai da secoli. Per non parlare, poi, dei numerosi altri temi che quotidianamente si districano nelle stringenti definizioni (vedi l’Arte, l’Architettura, la Poesia, etc). Nessuno mette in discussione il fascino che si crea nel mettere in discussione i “limiti” da noi stessi ideati. Un fumetto potrebbe infatti essere letteratura per il semplice fatto che è per definizione la realizzazione di un’idea correlata di un testo, così come  un film d’animazione, nonostante non vi siano attori, rientra nella categoria del cinema.

Eppure un altro dubbio sorge ugualmente e Bob Dylan nell’accettare il premio Nobel, lo urla a gran voce: che ruolo ha la musica in tutto questo? Può essere solo un aspetto secondario?

Ciò che infatti il musicista afferma è che non avrebbe mai pensato di ricevere un giorno il Premio Nobel, non essendo lui stesso un letterato.

Egli è un musicista, un menestrello.

Quello di cui De Andrè (suo grande fan) parlava in modo straziante in Amico Fragile, sottolineandone la solitudine e spesso l’incomprensione da parte del pubblico etichettandolo come un “intrattenitore” o come un “animale da palco”.

Personaggi come Dylan, De Andrè, e tanti altri grandi musicisti che avrebbero altrettanto meritato il prestigioso premio, con la propria maestria hanno autonomamente, senza l’aiuto di un’ elitaria Accademia svedese, compiuto la più grande rivoluzione: hanno permesso alla musica di essere riconosciuta come Arte non di intrattenimento.

E a permettere ciò è stata sicuramente l’innata bravura di certi autori di unire un sapiente uso delle parole con il giusto suono.

Per questo, forse, per quanto la commissione del Nobel sia stata spinta da una nobile intuizione credendo di compiere un passo avanti nella modernità, in realtà quest’assegnazione sminuisce in un colpo solo la Musica e nasconde sotto la sabbia la Letteratura.

Dylan, dall’alto della sua umiltà, non avrebbe mai potuto rifiutare un premio del genere.

Però possiamo farlo noi, appassionati di letteratura così come di musica, che sappiamo ben distinguere senza mai smettere di amarle.

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