Nostalgia: Martone e l’invivibilità delle città invisibili
In “Nostalgia”, Martone racconta Napoli tramite il suo protagonista. Ma rovescia radicalmente il senso dell’operazione amarcord
Negli ultimi periodi, soprattutto nell’ultimo anno cinematografico, abbiamo assistito ad una notevole crescita di un fenomeno che merita notevole considerazione. Si tratta delle operazioni “amarcord“, i cosiddetti film che puntano tutto sul mostrare le proprie memorie, i propri luoghi o anche solo uno scorcio di quanto vissuto in gioventù. Quello di “Nostalgia” di Martone si prefigura come un caso particolare.
Ragionando in termini puramente nazionali, basta semplicemente pensare ad uno dei migliori film (per alcuni il migliore) dell’anno passato per calarsi in questi “panni“. Il pensiero, naturalmente, ricorre e va agilmente a “È Stata La Mano Di Dio” di Paolo Sorrentino. Quest’ultimo era anche candidato agli ultimi Oscar come Miglior Film Straniero (battuto dal capolavoro “Drive My Car” di Ryusuke Hamaguchi). Una notevole dimostrazione di come il cinema fosse tornato a pescare nel passato. Dimostrazione avvalorata anche da un altro film notevole, come “Licorice Pizza” di Paul Thomas Anderson.
Insomma, senza dubbi si può constatare come il racconto di altri tempi, altre epoche e altri personaggi magari anche fuori dal tempo sia, negli ultimi tempi, andato per la maggiore. Con il suo nuovo “Nostalgia“, Mario Martone torna su schermo un anno dopo l’ottimo “Qui Rido Io“, lavoro biografico che ha riportato in auge la vita dell’attore Eduardo Scarpetta, padre del grande Eduardo.
E lo fa proponendo un lavoro molto diverso, che guarda sì al passato, ma lo fa in modo decisamente singolare rispetto a tutti i film nominati precedentemente. Lo sguardo del nuovo film di Martone si poggia su una città che di fatto imprigiona i suoi protagonisti nella memoria. Una memoria che li porta sì ad una riappropriazione delle origini, ma che li conduce d’altro canto anche a conseguenze inevitabili.
Immergiamoci, dunque, per le vie del racconto.
Un ritorno alle origini
La trama di “Nostalgia” si ricollega un po’ a tutto ciò che è stato il cinema di Martone finora. Il nucleo di tutto, oltre ad essere Napoli, è Felice Losco (interpretato da un ottimo Pierfrancesco Favino), che dopo aver passato quarant’anni all’estero, decide di tornare alla sua terra natia per sistemare alcune questioni rimaste in sospeso.
La vita di Felice è ben avviata. In Egitto è in possesso di un’impresa di costruzioni avviatissima e anche di un matrimonio stupendo con sua moglie, che lo ha portato a convertirsi all’Islam. A Napoli, invece, si occupa di come cambiare casa a sua madre e di assisterla nella vita di tutti i giorni. Questo suo ritorno, però, porterà il protagonista a scontrarsi di nuovo con tutto ciò che riguarda il suo passato.
Un ritorno, dunque, che in “Nostalgia” ha un sapore dolce-amaro, che nonostante la volontà di riappropriarsi delle proprie radici e delle proprie conoscenze, nasconde comunque insidie di gran lunga pericolose. Ed ecco che subito si pone una questione legata all’accezione del titolo del film di Martone, che in questo caso si connota come una funzione fortemente negativa.
Martone, Nostalgia e il rapporto con il cinema contemporaneo
Come detto anche in precedenza, “Nostalgia” è un film che insegue una strada diversa rispetto a quelle cinematografiche degli ultimi tempi. Martone ha la lucidità rara di porre in essere l’operazione amarcord e piegarla alle sue logiche autoriali. Il regista sceglie di utilizzare due elementi essenziali per capovolgere le intenzioni, ovvero le inquadrature e come il suo protagonista si cali nell’ambiente circostante.
In questo caso è il peso del passato a gravare sulle gesta di un grandissimo Pierfrancesco Favino e a governarne praticamente tutto il percorso. Lo si può notare tramite il suo pellegrinaggio labirintico di “calviniana” memoria, tramite le sue camminate (riprese in soggettiva e semi-soggettiva in modo esemplare da Martone) che lo connotano come uno straniero in terra straniera. Tramite la macchina da presa che sceglie di identificarsi con il suo sguardo disorientato, assumendo una piega quasi sempre prospettica.
In altri momenti, invece, a testimoniare la varietà di soluzioni offerte, sono gli osservatori esterni a prendere possesso della visione del regista. Come se lui stesso volesse mostrare la realtà di Napoli, che ha occhi e orecchie ovunque, sfruttando gli angoli più reconditi del diegetico. Una regia che va stabilizzandosi progressivamente, insieme al proprio personaggio. Il montaggio si occupa invece di documentare (con dei footage) i cambiamenti di questa Napoli così invisibile e così visibile allo stesso tempo.
Una Napoli che da un lato è vista come l’ideale per vivere con la propria famiglia, ma dall’altro fa emergere crepe insanabili e incolmabili. Ma soprattutto, “Nostalgia” è un film che pone in essere un’altra questione molto gradita a Martone. Ovvero quella del rapporto tra le persone e il proprio linguaggio.
Le ibridazioni
Se c’è un punto di contatto davvero forte, un trait d’union che collega “Nostalgia” a tutto il lavoro che Martone ha sempre effettuato da cineasta, questo è sicuramente l’ibrido. Un ibrido che riguarda due linguaggi che lo stesso regista ha sempre padroneggiato, ovvero quello teatrale e quello cinematografico. Nell’assistere al viaggio di “Nostalgia“, si ha la sensazione che la riflessione linguistica profonda dei precedenti film si sia spostata ad un livello più superficiale.
Questo non è un male, anzi riesce a far comprendere molto meglio il senso del cinema dell’italiano. Un cinema che si occupa di far co-esistere realtà differenti tra loro, di farle collidere e incrociare senza però che sia l’una a fagocitare l’altra. Nel processo di riappropriazione delle radici da parte di Felice, invece, questo capita. E il tutto perde equilibrio, non c’è più spazio per mantenere entrambi i linguaggi vivi e, di conseguenza, tutto porta ad uno stadio di chiusura e di fine.
Proprio quando sembra che la reintegrazione riesca (con le immagini della telecamera che si stabilizzano progressivamente), ecco che arriva la goccia che fa traboccare il vaso. Una rottura definitiva dell’idillio. Ed ecco che l’aria sognante e onirica di “Nostalgia” si spezza e si ribalta, trasformando il tutto in qualcosa di nudo e crudo, di urgente e attuale che riporta tutto alla realtà.
E allora tutto ritorna ad avere un senso e si oppone all’ultimo film di Sorrentino, “È Stata La Mano Di Dio“. Lì un Fabio Schisa ancora inesperto credeva nei sogni e vi si rifugiava chiarendo quanto la realtà fosse “scadente“. Martone, invece, non dà spazio alle favole e si ancora al presente. Forse è proprio questo il vero messaggio che vuole offrire “Nostalgia“.
La realtà, che non c’è mai stata
La verità stabilita da Martone esce allo scoperto tutta con il meraviglioso finale di “Nostalgia“. Un finale senza fronzoli, diretto, d’impatto, che risalta la vera natura del film e gli dona una connotazione urgente, attuale, che si oppone alle visioni degli ultimi tempi. Il rifugio nel ricordo, nell’amarcord, è solamente una pura illusione, una costruzione che tutti usano per fuggire dal proprio destino.
Ed è proprio lì, nella parte finale, che “Nostalgia” cambia pelle e si comporta come un noir d’altri tempi, un noir che non contempla la speranza e che anzi evidenzia proprio il fatalismo della vita. Un fatalismo contenuto in quella Napoli che ha sempre fatto del sentimento la sua appendice. Un sentimento manipolato spesso in modo negativo, che non fa altro che nascondere le difficoltà di accordarsi a nuovi tempi e nuovi luoghi.
Nel Favino di “Nostalgia” c’è il desiderio di cambiare quei luoghi, di riportarli ai tempi che furono. Ma il desiderio è inattuabile, perché inevitabilmente cozza con tutto ciò che rappresenta il presente, che fagocita il passato e lo costringe ad una dimensione solamente mnemonica e nulla più. Lo costringe a non essere più rappresentabile, se non tramite una dimensione onirica, di fantasia.
“Nostalgia” è dunque non solo uno dei migliori film italiani sui nostri tempi. È, soprattutto, uno dei migliori film sull’impossibilità.
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