12 Marzo 2015 - 11:00

Operazione paura, lo sguardo che contempla la morte

operazione paura

Operazione paura di Mario Bava, l’orrore che si consuma nella dialettica esterno/interno. Lo sguardo è al centro del film, perché la morte si può guardare 

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Operazione paura, film del 1966 di Mario Bava, presenta un prologo che mette in contatto diretto lo spettatore con l’orrore; come qualcosa di identificabile, di inguardabile, che terrorizza a tal punto da provocare la morte a se stessi.

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Operazione paura, prologo

Le urla della donna che esce dalla sua villa disperata e alla ricerca di aiuto, scuotano subito chi sta guardando, ponendolo in una situazione di disagio, non avendo avuto il tempo e i motivi per comprendere una tale reazione. L’aspetto ancora più inquietante e disturbante è la reazione eccessiva della donna. Raggiunge una casa in rovina, percepiamo una presenza che la segue dal movimento del suo corpo in tensione, poi il suo suicidio forzato da qualcosa. Sotto di lei un cancello; la sua visione è distorta, quanto è reale?

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Operazione paura, titoli di testa

Si lancia nel vuoto e vediamo il suo corpo trafitto. Segue l’inquadratura di una porta da cui qualcuno sta guardando, e lo capiamo dall’ombra che vediamo; rievoca il Mito della caverna di Platone metafora del cinema, come luogo della proiezione mentale e dell’immaginazione nel percorso verso la conoscenza della realtà. La cinepresa segue così i passi di una bambina vestita di bianco verso una meta non mostrata. La musica, in un misto di voci infantili e reminiscenze gotiche, accompagna i titoli di testa introducendoci così nel racconto del film.

L’inizio del film corrisponde con il giorno e gli esterni. In Operazione paura il binomio esterno/interno è costante, cosicché il cinema dell’orrore, che poi sarà chiamato horror, crea nello spettatore un bisogno illusorio di cercare luoghi chiusi, dove salvarsi, per proteggersi da ciò che è fuori; eppure il male nasce dall’interno e va a contaminare anche gli spazi all’aperto.

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Operazione paura

C’è forse un’ulteriore chiave di lettura della scelta di Bava di girare il film in esterni, dove le riprese ampie e lunghe, in movimento e quasi allucinatorie, vogliono dichiarare una certa nostalgia per il sistema produttivo italiano, interpretando così la crisi di un modello e la fine di quello hollywoodiano, solito a camuffare gli esterni costruendo tutto negli studios. Con Operazione paura, poi, l’ambientazione e l’estetica delle rovine in un paese quasi completamente disabitato, plasma il senso d’inquietudine.

L’arrivo del medico nel paese, per analizzare il cadavere della donna, è accolto con ostilità dalle poche presenze. Lo straniero è osservato, scrutato dallo sguardo penetrante dei due uomini della locanda che lo fissano dai vetri della porta, il luogo dove si sta recando. Bava in Operazione paura insiste molto sull’atto del guardare, arrivando a delineare una poetica dello sguardo.

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Operazione paura, passaggio becchini

Bava è vicino alla maniera del cinema espressionista e sono tanti gli elementi che lo confermano, sebbene sia un autore che “sceglie” le atmosfere gotiche, che poi sarà definito cinema dell’orrore italiano. Un’immagine però s’inserisce tra l’espressionismo e il gotico, ed è il passaggio dei becchini; espressionista nel riprendere l’iconografia della morte, ma anche gotica per la componente fantastica e dell’orrore, andando a rievocare le paure più inconsce. Lo stile, pure, rappresenta una sorta di continuazione della tradizione espressionista, utilizzando effetti di distorsione nell’uso delle soggettive e delle reazioni psicologiche, ma anche gotico, per incorniciare tutto all’interno di un’atmosfera densa di presenze/assenze.

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Operazione paura – distorsione

Tra i diversi livelli di lettura di Operazione paura, la tematica dello sguardo risulta una delle più evidenti, costruendo lo sviluppo del racconto fantastico insistendo sul potere omicida insito nell’atto di guardare, nonché una sorte di perversione sessuale nel contemplare un corpo nel suo intimo rapporto con la morte.

Melissa Graps è la bambina intorno cui ruota la vicenda, artefice delle morti assurde che sconvolgono il paese e che il medico arrivato deve comprendere. La bambina è legata ad una villa, ritenuta luogo abitato da fantasmi in cui accadono cose terribili. Nel paese il tempo è sospeso, gelato dalla costante paura di incontrare quel qualcosa che, solo posando lo sguardo sulla vittima, procura un percorso più o meno veloce e sofferente verso una morte annunciata. Tutti lo sanno, tutti temono di essere “toccati” dai suoi occhi.

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Operazione paura, vittima

Cosa contiene lo sguardo di Melissa Graps? Quando è la figlia dei proprietari della locanda a subire il “fascino” verso la morte, solo menzionando la terribile bambina Melissa, tutto si fa sempre più confuso, in un labile confine tra superstizione e verità, per il medico e la sua assistente Monica. Melissa ha ormai una nuova vittima, già la seconda a partire dal prologo del film, e ora vediamo tutto il percorso di sofferenza verso il suicidio/omicidio. Saranno gli occhi di Melissa a causare la morte forzata della bambina. Operazione paura mette in scena una contemplazione costante e goliardica verso la morte: si guarda l’atto disperato, la reazione fisica, il dolore.

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Operazione paura, Melissa Graps

Il delirante bisogno di morte della bambina nasce all’interno della villa attraverso sua madre, “medium inconscia” e incapace di controllare (chaos vs ratio) il suo bisogno di tornare e uccidere tutti per saziare l’odio implacabile. La vicenda si chiarisce nel finale, quando Monica trova il coraggio di entrare nella villa tanto temuta.

La medium è sua madre, la serva della famiglia appartenente alla villa. Scopre una maledizione sulla casa, origine del male, che però esce dalle mura e si deposita all’esterno, cerca la sua “giustizia” malefica al di fuori. Ecco perché in Operazione paura si scatena una suggestiva dialettica interno/esterno, non solo sul piano narrativo e formale, ma anche psicologico e concettuale. Siamo, alla fine, consapevoli che il male è intorno e dentro di noi.

Operazione Paura

Operazione Paura, medium

In un gioco di specchi, la serva è un personaggio ambiguo. Melissa usa il suo corpo per placare l’odio che la alimenta, oppure è la serva/madre che chiama le forze del male per distribuire il suo di odio? Nel ricordo della morte della figlia Melissa durante una festa, la vecchia signora continua a punire la gente del paese per non aver aiutato sua figlia in quel terribile giorno. Un odio che tramanda odio. Si potrebbe leggere anche, un bisogno di riscatto sociale, essendo stata alla servitù di una famiglia benestante per tutta la sua vita, privandosi di crescere la sua figlia maggiore Monica.

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Operazione paura, Melissa Graps

Ritornando alla poetica dello sguardo, gli elementi che Bava impiega in Operazione paura sono principalmente due: la ripresa lunga del guardare, come atto che quasi crea imbarazzo allo spettatore e non solo terrore, ma anche la presenza dello specchio. Sguardo e immagine riflessa riconducono anche al concetto di cinema, come due azioni essenziali del mestiere. Lo sguardo nell’obiettivo produce un’immagine riflesso della realtà, che permette così di contemplare anche l’essenza della morte, quel passaggio da uno stato ad un altro, tra il gioco e la perversione.

Operazione paura, un film tra l’horror e il fantastico, emancipa la paura di guardare il male e omaggia il cinema come arte dello sguardo; che penetra, contempla, interpreta e violenta.

Perché in fondo lo sguardo di Melissa non traduce il nostro mentre osserviamo, ammiriamo e desideriamo il corpo degli attori?

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