7 Ottobre 2015 - 17:44

Ottobre 1935 – 2015, gli 80 anni della guerra d’Etiopia

Etiopia

Ottant’anni fa, il 2 ottobre 1935, 100.000 soldati italiani al comando del maresciallo Emilio De Bono, invadevano l’Abissinia dalla colonia d’Eritrea: quella in Etiopia fu l’ultima guerra coloniale di un paese occidentale, una vergogna per l’Italia peggiore del Vietnam per gli Stati Uniti

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Sono passati ottant’anni da quella data, ma la vergogna della guerra d’Etiopia, per l’Italia, costituisce una ferita ancora aperta.

Aperta perché quella guerra fu l’ultimo conflitto coloniale combattuto da un paese occidentale: mentre in tutto il mondo i movimenti anticolonialisti iniziavano ad organizzarsi per liberare i paesi di Asia e Africa dal giogo delle potenze europee in declino, l’Italia si imbarcava in una guerra inutile contro un paese sovrano, per di più membro della Società delle Nazioni.

Etiopia

Gli Ottant’anni della guerra d’Etiopia

Quella guerra sancì anche la fine di quella Società: essa mostrò come, nonostante l’impegno di tutti i paesi del mondo a mantenere la pace dopo gli orrori della Prima Guerra Mondiale, gli anni compresi tra il 1919 ed il 1939 furono soltanto anni di tregua da un conflitto che, di fatto, non era finito davvero.

La decisione di invadere l’Abissinia, come a quel tempo veniva ancora chiamata l’odierna Etiopia, fu di Mussolini: desideroso di vendicare l’onta di Adua del 1896, quando undicimila italiani furono trucidati sull’Amba Alagi dai soldati del Negus Menelik II, il Duce imbarcò gli italiani in un’impresa ai limiti dell’anti-storico.

Così, sfruttando il desiderio dell’Imperatore d’Etiopia Hailé Selassié, bisnipote di Menelik, di rivedere i confini che all’epoca separavano la colonia italiana di Eritrea dal regno di Etiopia, Mussolini impiegò come casus belli un attacco di alcuni soldati etiopi al fortino di Ual Ual, in territorio eritreo.

Il 3 ottobre 1935, 100.000 soldati italiani messi agli ordini del Generale De Bono sconfinarono nel paese dopo una formale dichiarazione di guerra, e mediante l’uso di gas illegali (l’iprite), oltreché della soverchiante potenza aerea degli aeroplani italiani, l’Abissinia fu occupata in pochi mesi e il 6 maggio 1936 fu annessa al nascente impero italiano.

Selassiè fuggì a Londra via Gibuti, sotto la protezione della Francia e della Gran Bretagna che scelsero di non metter bocca in una vicenda che, secondo loro, riguardava solo l’Italia e l’Etiopia, ma in compenso esse furono tra le massime sostenitrici dell’introduzione di sanzioni contro un paese, l’Italia, che per costruirsi l’impero aveva violato ogni trattato internazionale e costruito un pericoloso precedente.

In Abissinia gli italiani realizzarono titaniche imprese, ma ciò non giustifica i crimini commessi da una nazione sovrana contro uno stato sovrano, né giustifica il silenzio delle potenze europee di fronte ai tentativi del Duce di occupare un paese che, con la Liberia, era il solo paese democratico con governo stabile di tutta l’Africa.

Oggi, a ben sedici lustri da quella data, l’onta per l’Italia, come detto, rimane indiscussa: occupammo un paese di cui sapevamo poco e che nessuno in Italia sapeva individuare sulle mappe del tempo ed usammo armi chimiche contro militari e civili.

Una vergogna che è pari solo a quella di chi, negli anni Settanta, decise di impiegare il Napalm per fiaccare la resistenza dei Viet-cong.

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