18 Aprile 2017 - 12:37

Reddito di inclusione, il provvedimento che non risolve la povertà

Reddito di inclusione

Reddito di inclusione (REI) e situazione italiana: riuscirà il provvedimento Gentiloni – Poletti a risollevare le sorti di un’Italia stremata?

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Negli ultimi giorni, annunciato in pompa magna, è stato presentato dal Presidente Gentiloni e dal Ministro Poletti il celebre reddito di inclusione.

Il provvedimento, che mira a contrastare la povertà, mostra una chiara inversione di tendenza da parte dell’esecutivo (e del PD), trattandosi di una “manovra” non dissimile (se non nei numeri e nelle procedure) da quella del M5S, e una classica “gestione all’italiana” della realtà dei fatti.

Infatti, il decantato reddito di inclusione mostra una serie di peculiarità che non solo immergono la popolazione in una fitta nube di assistenzialismo, cosa che veniva contestata alla proposta pentastellata, ma  rimarca anche più la logica dei bonus, marchio di fabbrica del precedente Governo Renzi (riproposto quasi interamente in salsa gentiloniana), che quella della lotta alla povertà.

Reddito di inclusione

I dubbi che sorgono, scorrendo la proposta Gentiloni –  Poletti, riguardano in sostanza due macro aree che attestano quanto, ogniqualvolta si cerca di intervenire sulla quotidianità, si ignori la routine italica.

Il primo grande dubbio sorge sull’ennesimo scherzetto fatto giocando sull’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE).

Rinvigorito con le proprietà immobiliari, che inevitabilmente hanno fatto registrare un aumento di reddito anche per coloro che dopo mille sacrifici sono riusciti ad acquistare una casa che ora non riescono più a mantenere, l’indice, privato dell’ISR (la situazione reddituale appunto) ritorna punto di riferimento per il reddito di inclusione.

In questa situazione, quindi, è legittimo chiedersi: Come mai da un lato l’ISEE mi penalizza e dall’altro cerca di avvantaggiarmi? Riuscirò ad evitare brutte sorprese, come capitato con l’inserimento improvviso dell’ISR, sulla mia situazione economica equivalente?

Ai quesiti irrisolti, si lega, inevitabilmente, anche la problematica della cifra stanziata dal provvedimento.

485 euro contemplati dal REI, più che un valore reale, hanno il “sapore” di “mancia” concessa alla popolazione.

La cifra, difatti, non solo non tiene conto del vero costo della vita, che tra l’altro si distingue in base al luogo in cui si risiede (cosa considerata ma non specificata a dover nel REI), ma si presenta come una sorta di contentino per le persone che con quella cifra rischierebbero di “campare” tanto poco quanto niente.

A tutto ciò, inoltre, si unisce il chiaro “vizio assistenzialista” che, cercando di mettere toppe continue alle tante buche presenti, congiunge indissolubilmente parte della popolazione alla speranza di percepire questo pseudo-sussidio senza alcuna possibilità di cambiamento in termini lavorativi.

Per combattere la povertà bisogna comprendere fino in fondo le esigenze di chi ne è immerso ma le abnormi differenze sociali non permettono, come troppo spesso accade, di rendersi realmente conto di quale sia la lotta giornaliera di ogni individuo.

 

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