29 Giugno 2016 - 20:04

S. Antonio a Camerota: dalla storia del luogo alla cappella

S. Antonio a Camerota: dalla storia del luogo alla cappella

Nel mese dedicato a Sant’Antonio di Padova, un viaggio introspettivo con A ZONzo a Camerota per soffermarsi nel mozzafiato scenario della cappella rupestre. Ampia galleria fotografica

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La cappella di Sant’Antonio di Padova (del Gualano) si radica nella devozione della comunità di Camerota, situandosi “fuori le mure” (in località Vallade) per designare l’esigenza collettiva di camminare verso un luogo dedicato e allontanarsi dalla moenia (mura del paese), dove si praticava la vita quotidiana della dimensione civile.

Legata alla parrocchia di Santa Maria delle Grazie, la cappella prende forma in maniera quasi “privata”, raccogliendo fondi con offerte dei fedeli per ampliarsi e strutturarsi, nascendo come piccola edicola votiva.

PAV_4175Attraverso un articolato circolo virtuoso di cittadini, vescovi e sacerdoti il luogo si fa scenario di una tradizione votiva diffusa che oscilla tra il piano spirituale e materiale, tra protagonisti diretti e tradizione che lasciano le tracce di un luogo di culto, ampio respiro dell’uomo affaticato dal lavoro che volge lo sguardo verso l’infinito confine del mare perpendicolare alla cappella di Sant’Antonio.

Storicamente il passaggio dalla piccola edicola alla cappella si compie nel primo ‘600, quando il cittadino Giuseppe Di Novi offre 50 ducati e garantire la celebrazione di 18 messe per liberare la sua anima: si associa, gradualmente, il luogo alla salvezza delle anime, parafrasando un atteggiamento votivo sempre più forte e continuativo all’interno della comunità di Camerota.

La ricorrenza di Sant’Antonio di Padova (13 giugno) diventa occasione di ritrovo e meditazione, restando nella memoria come storico e antico legame dei cittadini con un luogo rurale in cui portare le anime a riposo, dove lasciarle lontane dalle fatiche giornaliere e dal rapporto con i signori per ritrovare, attraverso un percorso in salita e circolare, l’avvolgente conforto di una dimensione che eleva e fortifica nella prospettiva di un mare che salva dai peccati.

La cappella è sotto l’attenzione dei vescovi di Policastro, acquisendo una struttura chiara e rigorosa nel tempo: dopo la custodia nelle mani di don Francesco Trencia, che riesce a aggiungere oggetti di valore offerti al Santo, nel 1640 con il cappellano don Giovanni Paolo De Mango si pianifica l’attività interna.

PAV_4182Sant’Antonio si apre così anche alla migrazione napoletana, individua i responsabili dell’economato che dovranno controllare le offerte e arricchire la cappella con doni di valore, per confermare l’aderenza alla fede e creare un repertorio di oggetti con cui cominciare il profondo attaccamento della comunità al luogo.

Si susseguono nella storia diversi cappellani ed economi per la gestione dei beni acquisiti nella sempre più forte devozione dei cittadini in Sant’Antonio, arricchendo la cappella di quadri, lampade e immagini sacre. Lo stato è ottimale fino al 1765, così come l’adesione alla spiritualità “fuori le mura“, quando l’umidità porta all’esigenza di un primo restauro delle pareti e del tetto.

In passato ci si incamminava verso sera con delle fiaccole per illuminare la stradina stretta stretta o la scorciatoia, oggi ampliata in diversi punti per favorire il passaggio delle automobili, arrivando per la celebrazione della messa e per la processione intorno alla cappella, e restare sul posto fino al primo pomeriggio del giorno successivo. Anche i pescatori di Marina di Camerota si uniscono a questa tradizione onorando il Santo con il bene più prezioso del mare: il pesce azzurro. La sera del 12 si friggevano le alici per tutti i fedeli, inebriando di profumi un angolo di paradiso. La tradizione fortemente votiva si è poi trasformata in un’attrazione, riorganizzando l’area in una festa in cui l’anima religiosa convive con due serate di sagre, portando ad riscontro anche turistico.

Il luogo, dunque, non è solo un contorno, ma accompagna la devozione e la nutre di una naturale inclinazione dell’uomo cristiano d’iscrivere una ricercata spiritualità nel paesaggio rurale, isolato e sovrastante. La cappella di Sant’Antonio è prima un esercizio fisico e poi un’esplosiva ricarica di senso: senso che sta nelle relazioni tra il singolo e l’altro, tra i piedi e il percorso, tra il respiro affannato e la contemplazione della bellezza, donata, gratuita, di tutti.

Per rivivere storicità e religiosità di Sant’Antonio di Padova a Camerota si potrebbe camminare per condividere un percorso antico e farlo proprio, vivificarlo nell’esperienza nuova. Così, ogni anno, il Santo è onorato con due serate che disegnano il tracciato di una prospettiva più ampia, che si estrinseca nella meditazione sul posto, e così immergersi nello scenario rupestre che spicca sul mare e si nasconde tra la morfologia di un paesaggio aperto alla crescita interiore e collettiva.

Le due dimensioni s’incontrano nella cappella di Sant’Antonio di Padova a Camerota, perché la relazione tra l’io e l’altro si può raccontare ritornando al passato e guardando al presente, mitigandosi nel perpetuo cammino dell’uomo verso l’autenticità, nella ricerca della “nudità” di cui parlava il Santo, dopo aver ritrovato l’originario contatto con la natura, lasciandosi trasportare dalla sua eccellente armonia avvolgente.

Foto All Rights Reserved Pietro Avallone

Fonti gentilmente concesse da Arnaldo D’Alessio

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