18 Settembre 2018 - 09:00

Sharp Objects: la recensione della serie HBO con Amy Adams

Sharp Objects, amy Adams

Sharp Objects: la nuova serie HBO con Amy Adams, da un’opera di Gillian Flynn, diretta dal regista di Big Little Lies dal 17 settembre in onda su Sky

Trama di Sharp Objects: La protagonista, Camille Preaker (Amy Adams), è una giornalista di cronaca nera appena uscita da un istituto psichiatrico per autolesionismo che rientra nella sua città natale, Wind Gap, nel Missouri, dove indaga per la scomparsa e la morte di due bambine.

Il rapporto con la sua famiglia, specialmente con sua madre, non è dei migliori: la madre, Adora, non riesce a ristabilire un normale rapporto con Camille (anche a seguito della morte della figlia Marian) e si colpevolizza per non essere riuscita ad aiutarla, mentre invece cerca di supportare le famiglie vittime degli omicidi e allo stesso tempo supplica Camille di comportarsi come cittadina e, dal punto di vista etico, di non guardare da lontano la vicenda (come quando, al funerale di una delle bambine, tenta di impedirle di prendere appunti per risolvere il caso).

Servire il passato, tramite la regia

E’ questo che fa Jean-Marc Vallèe fin da Big Little Lies, forse anche da prima, da quel grande film che è stato Dallas buyers club. Regista prestato alla TV, uno dei figli legittimi di un immortale canale televisivo americano, pargolo dell’HBO, torna dopo la sua direzione in Big Little Lies, con una nuova miniserie tratta da un libro del 2006 di Gillian Flynn. Quella scrittrice che ormai conosciamo così tanto bene dopo aver visto Gone Girl- L’amore bugiardo di David Fincher, prolifica come poche nel thriller conclamato americano, nel giallo regina, un gradino più in alto ai noir che si comprano in autogrill. Se a dirigere c’è un regista che non ha più bisogno di presentazioni e il soggetto è di una scrittrice che nel suo campo è affermata, la serie TV nasce grazie alla sceneggiatrice e produttrice esecutiva di Buffy l’ammazzavampiri, qui in veste di creatrice, Marti Nixon.

La televisione di “genere”

Che la televisione, il cinema e la visione stessa stiano cambiando radicalmente, che siano diventati più militanti politici che mezzi innovativi pensanti e di intrattenimento ormai ci sembra essere una storia vecchia. Che tutto adesso sia apostrofato al femminile non cambia di certo l’idea di qualità di un prodotto visivo di un certo fascino.

Senza pelare argomenti triti e ritriti, e dibattere sulle proteste e sulle problematiche che sta vivendo il cinema americano nell’ultimo anno, temi strillati e sensibili, bisognerebbe soltanto sottolineare che anche Sharp Objects è un prodotto per forza di cose dei nostri tempi. Che dopo Big little Lies conferma la condizione non solo di uno dei più grandi canali via cavo televisivi americani, ma di un’identità di spettacolo soggetta al femminile, di un turbamento ancora fresco, non del tutto cicatrizzato.

E’ così, qualcuno direbbe che “il cinema sta cambiando sesso”, ma siamo lontani anni luce da contestare questa scelta, siamo lontani da discuterne le frivolezze e le positività. Ci basta soltanto attendere che qualcosa si sblocchi, che qualcosa forse, in controluce sia perdonato e perdonabile. Tornando a Sharp Objects, che arriva subito dopo il successo gridato e premiato di “Big Little Lies”, sarebbe impossibile non confrontarlo con i prodotti precedenti del canale, ormai ripresosi da un periodo di crisi che sembrava impossibile da superare e che aveva solo come certezza quel “Game of Thrones” destinato ad essere scritto e concluso dai voleri dei fans di tutto il mondo.

Confrontarlo perché la televisione come il cinema, con il buon proposito di salvaguardare un sesso (quello femminile), e sradicare completamente il sessismo (quello maschile), sta creando figure femminile “di sfogo”. Promettendosi, forse, in futuro, di redimersi nei confronti di quel femminile sempre trattato in “sol minore”. Quel femminile, che avrà dimenticato anche la parità per la rabbia, cantato poco e mai abbastanza. Raccontato con propositi diversi da quelli pubblicitari di oggi. Sembra parlare di un brand, ma stiamo semplicemente parlando di una conquista e del divismo femmini(sta) che gioca un ruolo forza per questa battaglia spietata dai risultati artistici rivoluzionari.

Serie TV contro gli stereotipi del mondo maschile

Sullo schermo sono sempre più donne e in Sharp Objects è proprio una donna, lontana dalla vanificazione degli stereotipi tutti maschili di True detective a soffrirne le pene dal suo passato.

Fin da subito, sua madre, è il suo contraltare, la sua riserva corpulenta e magmatica di rabbia e dolore repressi. Sempre donne, donne forti e deboli che siano. Soggette, vittime o carnefici a creare squadra o a creare scontri.

E se alla regia c’è Jean-Marc Vallèe, unico maschio della squadra, è anche vero che seppur in gamba, seppur un regista più che buono, sembra quasi essersi dimenticato di quali erano i suoi temi da autore cinematografico dell’inizio. Sembra essersi appiattito ad una proposta, quella iniziata con la regia di Big Little Lies, omettendo la sua fede intellettuale a discapito di una tecnica a favore del “politicamente corretto” che straripa e in cui anneghiamo sempre di più.

E se il regista senza una sua sceneggiatura è questo, è anche vero che proprio in Sharp Objects sembra aver perso una sua personalità. Certo, la serie scorre benissimo, ma sembra a volte esserci un pilota automatico formale. Il lavoro maggiore, comunque, lo fanno il montaggio sonoro e quello visivo, quello che in un amalgama ci piacerebbe definire “montaggio sensoriale”.

Cos’è Sharp Objects?

Perché Sharp Objects è prima di tutto questo, una storia “punk”, una storia di un autolesionismo poco levigato e mai “tumblr” ma ruvido e sofferto.

La storia di una Amy Adams sofferta che interpreta una giornalista imbrigliata (proprio in quel montaggio che ha che fare con la tecnica) nel suo passato tra rifugio e repulsione. Sembra parlare più di una storia di identificazione Sharp Objects più che essere un thriller.

E in effetti è così, perché la scusa del genere è la promessa per perseguire un traguardo, la comprensione di un essere umano turbato e a tratti repellente e poco simpatico. Unificarlo con il suo paesaggio, e proprio qui tutto quello che fa la serie TV contemporanea, caratterizzarlo nei boschi “alla Stephen King”, in dimore di porcellana che rimandano al teatro di Williams o addirittura che ricordano il mondo di Lynch.

È un mondo di citazioni Sharp objects, sicuramente lontano dal colpo di scena perfetto, più vicino invece al giallo esistenziale svedese. Racconta perfettamente i suoi personaggi, li ripiega su stessi, gli ferisce, li strappa agli occhi dello spettatore, con grande sensibilità e non con quella sagacia di chi ne avrebbe fatto di questa storia una visione iper violenta e borghese come i tanti registi austriaci. Jean-Marc Vallèe ha una mano sensibile e riprende con folgoranti momenti la vita femminile, ma soprattutto un’infanzia, e un folklore americano, un mondo marcio che a tratti ci sembra di vedere per la prima volta nella sua tridimensionalità e nelle suo disegno arcano.

Ma basta questo per la televisione e il cinema di oggi?

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