12 Novembre 2017 - 12:56

Tartarughe all’infinito: John Green e la guida allo young adult fatto bene

Tartarughe all'infinito

Tartarughe all’infinito: il nuovo romanzo di John Green ci parla di spirali temporali e ci mostra l’importanza di uno young adult fatto bene

Tartarughe all’infinito” (in inglese Turtles all the way down) è il nuovo romanzo dell’amatissimo John Green, già conosciuto per “Colpa delle stelle”, “Cercando Alaska” e “Città di carta”.

Ignorato e criticato dai lettori più “snob”, Green ha sempre dimostrato di saper scrivere per davvero uno young adult. Nonostante il genere sia costantemente disprezzato, Green dimostra di saper guardare oltre le etichette letterarie e realizza un’opera godibilissima anche per un pubblico più adulto. “Tartarughe all’infinito” dimostra che lo young adult, se fatto bene, è un genere fondamentale per la letteratura: permette ai ragazzi di sentirsi capiti fin dall’inizio, di riflettere e soprattutto di continuare a leggere.

Le trame di John Green non sono mai strutturate male, questo era chiaro fin da “Colpa delle stelle”, ma il suo ultimo romanzo ha dato la conferma e la speranza che questo autore possa evolversi in maniera sempre più importante. Prima di iniziare il primo capitolo ci si aspetta una storia molto simile a quelle che lo hanno reso famoso, ma si viene smentiti immediatamente.

“Nel periodo in cui ho capito per la prima volta che forse ero una creatura di finzione, passavo i giorni dal lunedì al venerdì in un’istituzione finanziata dal denaro pubblico nella zona nord di Indianapolis chiamata White River High School”: così inizia il capitolo uno e da quel momento in poi sarà quasi impossibile fermare la lettura. Questo romanzo è una spirale sempre più stretta verso la fine; una sinusoide che ti strozza con la sua imprevedibilità.

La trama

Aza è una ragazza di sedici anni, nel suo nome c’è l’inizio e la fine dell’alfabeto perché suo padre voleva che sapesse che avrebbe potuto essere qualsiasi cosa nella sua vita. Lo stesso padre che ha visto cader morto senza motivo nel giardino di casa. La lezione dell’imprevedibilità l’ha capita fin da subito. La sua migliore amica si chiama Daisy ed è il solito personaggio che John Green infila nelle sue storie ma che i lettori baratterebbero volentieri con qualsiasi presenza fissa non dotata di parola. Insopportabile è dire poco. Se non altro il suo unico merito è quello di far sapere alla sua migliore amica della scomparsa di Mr Pickett, padre milionario dell’amico di infanzia di Aza, Davis Pickett. L’uomo è scomparso nel nulla la sera prima che l’FBI potesse irrompere in casa sua per arrestarlo e la taglia sulla sua testa è di centomila dollari. Aza e Daisy, a questo punto, nel goffo tentativo di condurre delle indagini per avere la ricompensa, si riavvicinano a Davis Pickett, personaggio dalla sensibilità e intelligenza meravigliosa che accompagnerà Aza per quasi tutta la durata della storia. 

La struttura

L’intelligenza di Green è più che mai manifesta nella struttura di questo libro. Il lettore si accorge di esser stato “fregato” alla fine, quando la spirale ti strozza e ti rendi conto di cosa tu abbia effettivamente letto. Finale a sorpresa, si può dire. Non è esclusa la lacrima collaterale. Durante la lettura sembra sempre che il tempo stia per scadere e la sensazione resta addosso senza motivo. Non sai cosa stia per succedere, ma in qualche modo sai che il tempo è poco ed è sprecato.

Tartarughe all’infinito va oltre il semplice young adult. E’ una promessa di evoluzione, di innovazione. E’ una conferma di talento ed estrema competenza. Perchè John Green ha talento ed è evidente a qualsiasi lettore, a prescindere dalla sua età. Sa costruire una storia e sa plasmare il tempo: può farti camminare piano, può farti fermare per anni, può farti correre sul posto, può farti tornare indietro, può farti saltare inspiegabilmente in avanti, può far durare un minuto un’ora e può farti correre fino a toglierti l’aria dai polmoni. Può farti correre e correre sempre nelle spire sempre più strette della spirale fino a quando non ti accorgi di essere arrivato alla fine, che l’aria è troppo poca, che non te ne sei accorto, che molto probabilmente non hai voluto la metà delle cose che hai fatto ma che è inevitabile, che va bene così. Ti lascia inoltre una vaga possibilità di scelta: continuare a correre, probabilmente scavando, per trovare il punto di inizio (o di fine) della spirale, fino a perdere completamente il respiro.

Davis Pickett ricorda che la bellezza è soprattutto un fatto di attenzione. “Il fiume è bello perché lo guardi”, scrive nel suo blog. John Green ricorda che una cosa diventa tridimensionale nel momento in cui la guardi e che in linea di massima tutti noi guardiamo il mondo molto poco. Ce lo facciamo scorrere addosso, come quei buffi cartoni in cui il protagonista, appiattito sull’asfalto, permette alle ruote di una bicicletta di passargli sulla faccia. L’autore ricorda che non tutto ha subito senso, ma che continuando a guardare alcuni accadimenti possono trascendere il momento e diventare in qualche modo le linee guida della tua storia. Da qualche parte tutto ha un senso, addirittura gli addii. E’ chi non ti saluta che non ha intenzione di tornare, ma nessuno dice mai addio, a meno che non voglia rivederti. 

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