13 Novembre 2020 - 08:00

The Third Day: l’isola della mente e il viaggio psicologico

The Third Day

HBO punta su atmosfere folk horror e su un viaggio mentale per The Third Day. Merito anche di un Jude Law in grandissima forma

HBO, da molti anni a questa parte, ha cominciato ad inanellare una serie di prodotti a dir poco interessanti. Basti menzionare miniserie come Sharp Objects, Escape At Dannemora, The Outsider, Watchmen per capire che la qualità è sicuramente uno degli aspetti fondamentali su cui lo studio si basa per i suoi show. Ora la casa produttrice ci riprova, con uno show radicalmente diverso, che richiama molto gli anni passati (soprattutto The Wicker Man): The Third Day.

Per farlo, si affida ad un team di alto livello, che vede Dennis Kelly, già autore della serie britannica di culto Utopia, e Felix Barrett, fondatore e direttore artistico della Punchdrunk International, capeggiare il reparto artistico. Una premessa che serve sicuramente per approcciarsi meglio al metodo produttivo di The Third Day. La serie ha infatti come obiettivo quello di fornire una vera e propria esperienza immersiva agli spettatori. L’atmosfera unisce il comparto puramente mystery ad una discesa nella follia che è tipica del folk horror. Il tutto, però, viene declinato da un punto di vista puramente sperimentale.

Infatti, la scelta di spezzare in due parti la serie e di regalare uno Speciale in diretta su Facebook travalica i confini televisivi. Il tutto si trasforma in un’esperienza assolutamente originale e non canonica, che porta avanti una struttura narrativa ambiziosa, sviluppando quello che è un vero e proprio viaggio psicotico all’interno della mente e delle pulsioni umane. Pronti per il “viaggio” (in tutti i sensi)?

Una storia già vista, ma…

A conti fatti, quella che è la trama di The Third Day potrebbe essere benissimo riconoscibile come ricca di stereotipi e poco originale. Ma in realtà nasconde e cela molto più di questo, limitandosi ad offrire una visione immersiva del contesto in cui è ambientata la storia. In questo caso, vi è un vero e proprio protagonista a parte (oltre quelli già compresi nella storia in sé) che è lo scenario in cui la serie è ambientata, ovvero l’Isola di Osea.

Proprio qui, Sam (interpretato da un Jude Law in formissima) salva una giovane ragazza da un tentativo di suicidio. La ragazza si chiama Epona e vive nell’Isola di Osea, un luogo unito alla terraferma da un passaggio in mezzo al mare da cui è possibile transitare solo nei momenti di bassa marea. Sam riporta la ragazza a casa, in un villaggio dell’isola che consta solo 93 anime che sembrano vivere in una comunità basata su strani culti celtici adorando divinità marittime e, per varie ragioni, ritarda il ritorno trovandosi bloccato nell’isola.

Costretto a passare del tempo in quel luogo che sembra nascondere dei segreti, alcuni dei quali non particolarmente piacevoli, Sam conoscerà una donna di nome Jess (Katherine Waterston). Nella comunità fervono i preparativi per un Festival annuale della tradizione, “Esus e il mare”. Ma The Third Day è anche la storia di Helen (Naomie Harris), una madre che arriva sull’isola di Osea, tempo dopo l’arrivo di Sam, con le sue due figlie per passare una giornata a contatto con la natura e festeggiare in maniera particolare il compleanno della figlia. In questa seconda metà ritorneranno molti personaggi della prima parte. Altri misteri si accumuleranno ai precedenti e forse si scopriranno alcuni legami nascosti.

Il viaggio nell’impero della mente

C’è qualcosa, in The Third Day, che richiama tantissimo le produzioni anni ’70. Si ha come l’impressione di assistere ad un viaggio psichedelico, in cui veniamo catapultati in una realtà esperienziale che attraversa tutta la serie. Ed è questo il principale punto di forza: la sua struttura narrativa. Si tratta, infatti, di un vero e proprio viaggio nell’impero della mente (come quello organizzato da David Lynch in Inland Empire), che a fianco della vicenda vera e propria pone anche dei momenti girati dal vivo che arricchiscono il senso lato di un’esperienza.

Il prodotto appare narrativamente sfilacciato, anche forse difficile da seguire per via del suo tono a tratti assurdo/grottesco. Ma sono proprio queste stranezze ad elevare il valore della serie, che si dimostra capace di catturare gli spettatori e di immergerli in un mood ipnotico. Misteriosa e inquietante, The Third Day raggiunge anche le vette di una vera e propria stimolazione audiovisiva, dove ciò che si vede e si sente conta più della trama stessa. Registicamente, lo stile si dimostra instabile e vario, pieno di primissimi piani disturbanti e distorcenti che deformano l’ambiente circostante e creano una sensazione di malessere nello spettatore.

La fotografia, basata su un contrasto dei bianchi e dei neri altissimo, concorre a creare un’immagine chiara nei suoi intenti. I colori, infatti, sono sensazioni nella mente dello spettatore, prendono una forma onirica e irreale, creando un contesto astratto in cui muoversi a fatica. Il cast di protagonisti, tra cui due strabilianti Jude Law e Naomie Harris e una Katherine Waterson in formissima, dà veramente il massimo per rendere credibile una storia che è piena di elementi surreali. L’impianto tecnico e artistico è davvero di altissimo livello.

Uno stile troppo particolare e stiracchiato

C’è da dire, naturalmente, che questo stile così estremizzato di The Third Day naturalmente crea dei problemi alla riuscita perfetta della serie. Infatti, dal punto di vista della scrittura, il prodotto non sempre eccelle, anzi. Ci sono molti dialoghi che risultano stiracchiati, scritti al limite quasi per stupire per forza. In fin dei conti, però, risultano banali e didascalici, attutendo la forza anche emotiva sia dei personaggi creati che delle atmosfere stesse.

Altro punto negativo sono le metafore, troppo insistite. The Third Day è una serie TV che si affida tantissimo sui simbolismi e sul gioco tra significante e significato. Il problema, però, è che insistere su questi toni porta inevitabilmente il racconto a rallentare e ad ostacolare l’obiettivo di immergere lo spettatore nel pieno del mood. Il risultato è che l’insieme viene banalizzato ed effettivamente la riuscita non è delle migliori.

Lo stile narrativo della serie, poi, è un’arma a doppio taglio. Da un lato affascina per la sua originalità, dall’altra diventa uno dei suoi difetti principali. Si scende troppo nel particolare, infatti, così chi cerca un solido impianto narrativo, magari più lineare e meno fumoso, ne verrà sicuramente allontanato. Ma in definitiva resta comunque un prodotto affascinante, altra punta di diamante di una HBO che ormai si è consolidata nell’impero dei grandi.