Trump-Biden: se la polemica ora riguarda i microfoni
Negli USA sale la tensione per il prossimo dibattito tra Donald Trump e Joe Biden. E il microfono dello sfidante sarà spento
La polemica anche per una stupidaggine. Donald Trump e Joe Biden sembrano averla buttata “in caciara“, senza preoccuparsi minimamente dei contenuti e delle promesse che dovrebbero essere realizzate. Ormai ogni cosa è uno stimolo, uno spunto per far salire la tensione e attaccarsi l’un l’altro. In questo caso, però, siamo davvero arrivati a rasentare l’assurdo. Il presidente degli USA e il suo staff non concordano sulla scelta, durante il prossimo dibattito, di spegnere il microfono dello sfidante quando uno dei candidati parlerà.
Nel secondo e ultimo duello televisivo, infatti, verrà spento il microfono del candidato rivale mentre l’altro sta parlando nei due minuti a lui riservati all’inizio di ciascuno dei sei segmenti di 15 minuti di discussione. A deciderlo è stata la stessa commissione che si occupa dei dibattiti presidenziali. Donald Trump si è fortemente lamentato per questa scelta, tramite il suo staff.
“Il presidente si è impegnato a dibattere con Joe Biden a prescindere dal cambio di regola dell’ultimo minuto da parte di una commissione faziosa nel suo ultimo tentativo di avvantaggiare il suo candidato preferito.” ha riferito il campaign manager Bill Stepien.
I temi, però, secondo lo stesso democratico, erano già stati concordati ben prima dell’inizio della campagna elettorale da entrambi i candidati. Dunque, la spiegazione è molto semplice: il repubblicano ha una paura matta. Ha una paura matta di dover spiegare i disastri avvenuti nel corso della pandemia ed essere smentito dai fatti. Ed è più che consapevole che, ora, con questa regola, non potrà più correre ai ripari tramite strategie comunicative “rumorose“.
Il conto finale
Siamo alla resa dei conti. Il gioco diventa sempre più duro e il cerchio si stringe sempre di più. Dunque, se Donald Trump, alla fin fine, ha concluso gli argomenti con cui attaccare Biden, la strategia più logica da perseguire è quella di farsi “terra bruciata” intorno. Ritorna, ancora una volta, la voglia di fare la propria campagna elettorale solamente basandosi su attacchi, epiteti, slogan e soprannomi indegni per l’avversario (tipo “Sleepy Joe“). Questa volta, il bersaglio è la Commissione, il “demone” da stanare. A conti fatti, però, ciò che resta di questa campagna elettorale, il messaggio che lo stesso presidente degli Stati Uniti ha voluto dare è nullo, sterile, e preferisce concentrarsi su particolari insignificanti. Perché? Perché non ha argomenti a sufficienza per controbattere la sua più grande colpa: la gestione a dir poco insulsa del Coronavirus.
La campagna di Trump, infatti, ora teme profondamente di dover rispondere ad altre domande sulla pandemia. Ed è questa la sua più grande paura: vedere le proprie (innegabili) colpe farlo sprofondare proprio laddove sta per raggiungere la meta. Ecco perché sta tentando, inevitabilmente, di sviare l’attenzione del pubblico americano verso lidi che non c’entrano assolutamente nulla con il futuro del Paese. E qui c’è una riflessione molto importante da fare sullo stato della politica americana.
Se è vero che la parte democratica rappresentata da Biden tende soprattutto a prendere in considerazione la scienza, la parte repubblicana si affida alla “pancia”. Si profila, ancora una volta, lo scontro che da sempre anima gli USA: ragione contro sentimento. Ed è uno scontro che può anche portare a conseguenze estreme, per nulla positive, in tempi come questi. Gli statunitensi, però, devono capire che quest’epidemia è davvero grave e minimizzarla non ha il minimo senso. Ecco perché un presidente folle, che si affida a metodi altamente discutibili per promuovere il suo operato, ora come ora, non è adatto.
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