1 Maggio 2015 - 10:31

1 maggio 1947: Portella, la strage di bambini

strage

Cronaca dell’incontro con Serafino Petta e Mario Nicosia, superstiti della strage del 1 maggio 1947

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Portella della Ginestra (PA) – Arriviamo a Portella della Ginestra intorno alle 17.00. Mario e Serafino sono già lì, appoggiati ad una panda bianca. Ottantanove e ottantatre anni, la memoria da mandare avanti e il sorriso sulla  faccia.

Di fronte al parcheggio, parallelo alla carreggiata semi deserta, uno spazio aperto, segnato da monoliti piantati in verticale nel terreno, chiuso alle spalle da una collina rocciosa. Nel mezzo della piana, una bandiera color arancio che sventola, quasi una continua litania nel silenzio di un luogo consacrato  all’orrore.

Mario e Petta, superstiti della strage

Mario e Petta, superstiti della strage

Avanziamo e sediamo su uno scalino in pietra, poi tratteniamo il fiato, aspettando.

A parlare per primo è Serafino, il più giovane dei due. Ci ringrazia per essere arrivati fin qui, noi lo ringraziamo a nostra volta per la testimonianza.  Gli occhi gli si inumidiscono quando inizia il racconto:

“Mi emoziono sempre a parlare di certe cose“.

“Certe cose” è la miseria del mondo contadino del dopoguerra, “certe cose” è la negazione dei diritti elementari, dello stesso diritto alla vita. “Certe cose” è l’incertezza, la paura di non trovare il piatto in tavola, la dignità. “Certe cose” è la forza di una generazione senza grilli per la testa, che di marcio ne ha visto e di ingiustizie pure. “Certe cose” è la semplicità connaturata con cui Serafino racconta la gioia dei contadini nell’imbandire una tavola con una colletta di avanzi per festeggiare il Primo maggio.

Fa una pausa e quel silenzio racconta per lui l’attimo; racconta come quella gioia sia stata pagata, in un mondo troppo caro per gli ultimi della scala sociale, con un dolore insopportabile:

Era una festa: le donne e i più piccoli, gli amici, gli scherzi e l’oratore che stava per arrivare. Poi i colpi che hanno abbattuto muli e bambini. Da quella collina sono partiti gli spari della banda di Giuliano.

Ci voltiamo, la fissiamo e qualcosa ci si blocca in gola, come se un colpo ci avesse presi per davvero in quell’istante. Ci lascia così, zitti.

Cede la parola a Mario, il più anziano. Quello che di lui colpisce è la determinazione, la voglia di aggrapparsi alla vita come al suo bastone. Ci raggiunge, tutto sommato, sorridente, scherza sulla lentezza dei movimenti e riprende da dove Serafino ha lasciato. Torna serio, Mario, e si fa cupo. Urla che è stata una strage di bambini e la sua voce rimbomba nella piana. Chiama una di noi, le porge un foglio piegato, la invita a leggere nomi ed età dei caduti. Lei trasforma, uno ad uno, quei numeri in personevite, più o meno lunghe. Tra i presenti nessuno trattiene più le lacrime.

Mario ci rimprovera, con dolcezza mista a rabbia e fiducia:

Non dovete, non dovete piangere! Noi abbiamo fatto metà dell’opera; non avevamo niente e vi abbiamo fatto cinque doni: la Repubblica, la Democrazia, la Libertà, il Voto alle donne e l’Istruzione. Ora tocca a voi. Avete un’arma lunga dieci centimetri -mima la penna –Usatela! Fino a quando vi sarà concesso, avrete vinto. Votate a destra, a sinistra, al centro, ma votate! E non piangete, perché – ribadisce – adesso tocca a voi.

La strage di Portella della Ginestra, prima dell’Italia repubblicana, resta oggi poco conosciuta. Molti nodi sono ancora da sciogliere, poche le certezze.

Mario Nicosia Serafino Petta ci chiedono di non dimenticare, di diffondere nomi, numeri, luoghi, per la dignità del dolore di chi a Portella ha visto cadere un fratello, un amico, un bambino.

1 MAGGIO 1947 -LE VITTIME:

Margherita Clesceri (minoranza albanese); Giorgio Cusenza (min. albanese); Giovanni Megna (min. albanese, 18 anni); Francesco Vicari (min. albanese); Vito Allotta (min. albanese, 19 anni); Serafino Lascari (min. albanese, 15 anni); Filippo di salvo (min. albanese); Giuseppe di Maggio (13 anni); Castrense Intravaia (18 anni); Giovanni Grifò (12 anni); Vincenza La Fata (8 anni).