19 Giugno 2015 - 10:46

25 anni di Quei bravi ragazzi, il cult

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Quei bravi ragazzi di Martin Scorsese compie 25 anni. Un cult del gangster-movie che ha influenzato e segnato il declino del genere cinematografico 

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Quei bravi ragazzi, film del 1990 di Martin Scorsese, compie 25 anni. Un gangster-movie per eccellenza, tra i più citati del genere. Arriva fino ad oggi come un cult, da vedere e rivedere per amare il cast eccellente (Robert De Niro e Joe Pesci), per apprezzare lo stile codificato che ha raccontato un momento storico preciso, con la forza di aver influenzato film che nascono dalla stessa esigenza: rappresentare le logiche interne ed esterne della criminalità organizzata.

Infatti, Quei bravi ragazzi, entra nel mondo della criminalità e la racconta senza far sentire il giudizio. Seguiamo la condotta del giovane Henry Hill (Ray Liotta), adolescente che preferisce, senza neanche conoscerne il motivo, la vita tra “i bravi ragazzi”. Non frequenta la scuola e si fa alter ego delle volontà esecutiva della famiglia Lucchese, da cui viene protetto in maniera eccezionale.

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Quei bravi ragazzi, 1990- 2015

Lo stile di Scorsese è un “gran mix” di dialoghi grotteschi, violenza vuota e commenti fuori campo. Un modo di mostrare il mondo della criminalità senza cedere al patetico e al documentario, ma mescolando i toni per tratteggiare i meccanismi psicologici e sociali senza fare psicologia e denuncia diretta.

Il gangster-movie è dunque un genere che va collocato per comunicare il suo senso. In un’epoca –  e siamo negli anni ’50-, in un luogo – e siamo a Brooklin -, in un gruppo sociale – e sono le persone che vogliono prevaricare sull’altro, che snobbano chi si guadagna da vivere.

La vita non è più un valore, ma viene trasformata in oggetto di dominio. Così come l’amore e la famiglia. Ogni valore affettivo, nel gangster, diventa mira a cui sparare, corpi da martoriare e portare alla disperazione. Il dolore o si supera drogandosi, o si muore di dolore.

Il percorso nell’organizzazione criminale di stampo americana parte dagli anni ‘50, ma arriva fino agli anni ’80, quando Henry viene catturato dalla polizia mentre sta provando a concludere un importante affare di droga. Ormai ha perso tutto. I soldi, ma soprattutto i suoi “amici”, quelli che non si tradiscono per nessuna ragione.

Con Quei bravi ragazzi Scorsese ci porta a confrontarci solo con i personaggi “cattivi”, meglio dire negativi, perché il giudizio sulla realtà viene filtrato attraverso le menti criminali. L’efferatezza con cui uccidono, anche mentre stanno scherzando tra loro, mette in scena la struttura gerarchica intorno cui ruota il malaffare. Una vita meravigliosa, piena di lusso e tempo libero da dedicare al gioco e alle puttane, ma che nega la libertà di pensiero. Chi entra nella famiglia del boss, sceglie di aderire ad uno stile di vita che limita anche il desiderio di comprare una macchina nuova.

quei bravi ragazzi Le donne sono i primi obiettivi da conquistare superata l’adolescenza, per mettere alla prova la propria virilità e quindi la posizione all’interno del gruppo. L’amore, come il sentimento, deve essere merce di scambio, una copertura per dare l’idea della normalità. La donna che entra nel gangster è spesso un’emarginata, che cade nello strapiombo della bella vita, e pur negandola fino alla fine, ne rimane attratta e posseduta.

In questo nucleo di persone circoscritte tutto è stabilito dal boss, nulla si può contraddire.

Da Quei bravi ragazzi di Scorsese, molti gli aspetti che ritornano in opere recenti, anche italiane. Uno degli esempi più vicini è Gomorra, dal film di Mattero Garrone alla SerieTv. La carica espressiva dei luoghi esprime la frustrazione e il malessere interiore, inconscio, che non si avverte ma che logora l’esistenza.

Uccidere come abitudine, ridere per parlare in codice, molestare per avvertire, rubare per il gusto di accumulare ricchezza. Dietro la sindrome della serialità, di qualsiasi tipo, si palese il malessere che nasce dalla struttura politico – economica, che condiziona la formula di sopravvivenza.

quei bravi ragazzi Oggi è difficile individuare un film del genere gangster in maniera diretta e chiara. I 25 anni di Quei bravi ragazzi è il lasso di tempo in cui il genere ha perso la sua centralità, sia come linguaggio sia come discorso cinematografico, perché il cinema è stato preso d’assalto dall’esigenza autoriale.

L’autorialità, però, ha destrutturato la capacità organizzativa di sezionare per ogni macro contenuto una macro forma, in cui racchiudere momenti di realismo e verità “camuffate” dal linguaggio scelto. Non era furbizia, ma creazione. Il regista sapeva dire molto di più sforzandosi di creare metafore, simbolismo, ambivalenze, denunce velate. La storia e i personaggi apparivano in primo piano, mentre erano stati metodologicamente predisposti da una mente onnisciente.

Quando il cinema ha assunto il volto del regista/autore è diventato tanto affascinante quanto ridondante e autoreferenziale. Il genere, come il gangster-movie, forse non è più necessario come dentro la macchina hollywoodiana, eppure ha creato dei cult. Il cult è memoria cinematografica o un modo per ricordare il cinema?

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