Sudan: il colpo di Stato non è solo affare dei paesi sudamericani
Il colpo di Stato in Sudan ha un valore simbolico fortissimo. A governare, ora, saranno i militari. Dopo 30 anni, cambia il registro
Gli occhi di tutto il mondo puntati sull’Africa, in particolare sul Sudan. Infatti, proprio lì si sta consumando una delle ennesime rivoluzioni che stanno animando la politica internazionale negli ultimi tempi. Tutti i ribelli sono rivolti verso un unico obiettivo, ovvero il palazzo presidenziale di Omar Al Bashir. Dopo mesi di protesta e il sesto giorno consecutivo di sit-in, i militari stamattina hanno circondato l’edificio e hanno fatto sapere che a breve faranno un importante annuncio in radio.
Il colpo di Stato si è concretizzato nella maniera che tutti si aspettavano. Infatti, non solo alti esponenti del Governo del Sudan sono stati arrestati, ma anche l’aeroporto sarebbe stato chiuso. Al Arabiya dice che lo stesso Al Bashir, presidente del Sudan dal 1989, si è dimesso mentre l’esercito ha annunciato la formazione di un Governo di transizione con la formazione di un consiglio ad interim guidato dal primo vice presidente Awad Ibn. Naturalmente, tantissimi veicoli militari hanno preso il controllo delle strade chiave e dei ponti di Karthoum.
La cosa più significativa dell’avvenuta liberazione è che la gente, in festa per la nuova strada politica che si intraprenderà, ha incominciato a cantare in mezzo alla strada. Le note più ripetute sono quelle di “Bashir è caduto, ce l’abbiamo fatta.”
Dopo le proteste iniziate lo scorso Dicembre, e dopo migliaia di persone che hanno passato un periodo davvero infernale, passato a chiedere pane, gas e anche soldi, hanno iniziato ad alzare la testa e a dire basta al regime autoritario del 75enne presidente.
Perché il caso della nazione africana è emblematico? Perché è, effettivamente, in controtendenza con l’andamento generale della politica mondiale. L’ondata di ultradestra che inneggia molto alle dittature ha travolto anche quest’ultima, e fa preoccupare l’intero pianeta Terra.
L’Africa come memento mori della politica mondiale
L’auspicio è che l’esempio del Sudan sia un vero e proprio segnale in netta controtendenza con tutta la politica mondiale, sempre più assuefatta nei confronti del “culto dei leader“. Il problema di questi anni è proprio il fatto che della politica fatta in maniera “collettiva”, di gruppo, di massa, non ve n’è proprio più traccia. Ecco perché la nazione africana può dettare l’esempio in maniera indelebile.
Naturalmente, non è una cosa totalmente nuova. Già nelle dittature sudamericane, infatti, possiamo trovare storicamente vari tentativi di rivolta finiti miseramente in tutt’altra direzione. Il pericolo dell’avallare regimi oppressivi e anti-democratici è molto forte.
“Chiediamo al nostro popolo di tutta la capitale e della regione circostante di recarsi immediatamente nell’area del sit-in e di non andarsene da lì fino alla nostra prossima comunicazione“, ha detto l’Associazione dei professionisti sudanesi (Sudan Professionist Association) che ha organizzato le proteste.
Dunque, paradossalmente, il caso del Paese africano è un vero e proprio esempio. Un esempio che i Paesi europei (Italia in primis) non devono assolutamente seguire.
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