Things People Do al Courmayeur Noir In Festival
Things People Do di Saar Klein, film in concorso insieme a Calvario di John Michael McDonagh, nel primo giorno del Courmayeur Noir In Festival
[ads2] Bill (Wes Bentley) è un impiegato bancario e vive con la sua famiglia in una casa benestante. Da poco è riuscito ad aggiungere anche la piscina nella sua pacata dimora, tanto desiderata anche dai due bambini, dove giocano e trascorrono il tempo in armonia familiare.
Saar Klein, montatore del film Il nuovo mondo di Terrence Malick (2005), è stato nominato agli Oscar per La sottile linea rossa (1999); Things People Do è la sua opera prima, inserito nel festival dedicato al noir, si rivela subito un film in grado di stimolare un confronto interessante sul modo d’interpretare un genere, come il noir, codificato e più volte sperimentato.
Things People Do comincia con un montaggio che procede per flash, simulando quasi una visione onirica della situazione, in cui vediamo la famiglia nella sua serena quotidianità. Questa stabilità viene a mancare nel momento in cui Bill perde il suo lavoro, e nel temere di non essere compreso dalla moglie, nasconde la sua improvvisa rovina finanziaria. Non riesce a pagare più il mutuo, e ai suoi occhi, ciò che gli circonda, appare superfluo e fattore di disturbo: la piscina, le richieste dei suoi figli e la sua casa tipicamente borghese.
Perdendo il lavoro, Bill perde parte del suo status, quello costruito tra il suo ufficio e la sua famiglia, per prendere coscienza della realtà che lo circonda. Attraverso la sua situazione economica e psicologica, fingendo di andare a lavoro, vive la strada e incontra fatti e ingiustizie che lo porteranno a “ribellarsi” al potere del denaro, per fare una sorta di giustizia interiore. Per caso capisce che può fare delle rapine per provvedere alle sue spese, e nella sua necessità cerca di trascendere, somministrando una giustizia personale che fa scendere i capi dal piedistallo e salva le vittime da soprusi e ingiustizie. Bill opera in maniera sbagliata, rapinando, eppure sente di fare bene. Man mano passa dalla passività inflitta dalla perdita del lavoro alla posizione dominante nel suo contesto. Dopo la prima rapina, infatti, è significativa la scena in cui Bill torna a casa e impone un rapporto sessuale alla moglie molto forte e selvaggio. La dominanza ottenuta fuori dalle mura domestiche si tramutano in virilità con la sua compagna, rinnovata serenità con i suoi figli.
La trasformazione interiore di Bill si manifesta sul suo volto, nei dettagli dei suoi occhi che riconquistano momenti di intensa luminosità quando riesce a portare a termine la sua rapina. Dov’è il noir allora?
Saar Klein rimescola alcuni topoi del genere e compie un percorso di sottrazione e depurazione, che coincide con il percorso fisico e psicologico dell’attore protagonista. In una fotografia meravigliosa, che ricorda i poetici passaggi visivi di Malick, il noir si esprime in residui suggestivi: la voce fuori campo, la casa di Bill isolata, la rapina nel motel, le soggettive e la quasi totale immedesimazione dello spettatore nel protagonista, la sepoltura del cane trovato morto, il montaggio come forma di un contenuto non sempre lineare, e quindi, temibile.
Le svolte narrative avvengono attraverso un contatto diretto e intimo con la natura, perché nel silenzio e nel vuoto degli spazi, il protagonista ritrova un senso primordiale che lo rimette in comunicazione con la realtà in una nuova prospettiva. Quello di Bill si può definire come un viaggio sofferto dall’apparenza al senso delle cose, dalle azioni sbagliate verso una purificazione dal male. Il noir interpreta quella componente della realtà e della condizione umana marginale, sconosciuta, illecita e corrotta. Il male rappresentato nel cinema noir porta quasi sempre a delle morti, a delle vendette per scopi amorali, crudeli. Bill non si può definire un personaggio crudele, perché i suoi atti sono motivati dal bisogno di fare la giustizia dei poveri, commettendo però gli stessi errori.
Disperato percorso verso una purificazione, che si esplicita attraverso una forma cinematografica e una cura dell’immagine che impone quasi allo spettatore di non desiderare più violenza e sangue. La musica è il linguaggio che “alleggerisce” immagini che hanno un potenziale di aggressività, ed è così che il regista intende portarci nella mente del protagonista. Marc Streitenfeld compone una colonna sonora che ricorre alla musica classica e lirica per creare un rapporto dialettico ma purificante tra volontà e azioni del protagonista Bill.
Non vediamo la morte, elemento ricercato e mostrato nel genere noir, che in Things People Do va verso un graduale trapasso, perché non esiste la distinzione tra bene e male, ma contano le azioni. L’importanza decisiva delle azioni sono il fulcro del film, e nel finale Saar Klein provoca lo spettatore ricorrendo al perturbante freudiano; l’uomo che si guarda allo specchio è un codice narrativo alle origini del noir (già da Nosferatu), in cui emergono la dualità del personaggio e il perturbante, ossia quell’inquietudine determinata dalla presenza di automi e da un volto che si confronta con l’idea dell’immagine che ha di se stesso. Nell’ultima scena Bill è davanti alla polizia, guarda verso lo spettatore, segue la sua immagine che va a costituirsi, ma l’ultima immagine è di nuovo Bill che guarda verso il pubblico. Bill è andato davvero dalla polizia? Forse è stata una sua proiezione, oppure c’è uno scarto narrativo che ci confonde, perché ci guarda prima e dopo aver compiuto la sua azione, purificante.
Precedentemente abbiamo visto Bill buttarsi in piscina riempita di cloro, uscendone con chiazze rosse: l’acqua, simbolo della vita (ad esempio per Malick, a cui il regista è molto vicino), rappresenta un altro elemento visivo e narrativo che dichiara il bisogno del protagonista di auto-punirsi ed espiare le proprie colpe.
Un film che s’iscrive nel noir ma cerca di sottrarre (eliminare) il male delle cose attraverso una forma che perde gradualmente la sua violenza intrinseca, privilegiando tramonti a sparatorie. Bill guarda verso di noi, per convocarci e renderci partecipi della sua azione, tra realtà e finzione.
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