Esterno Notte: Bellocchio e il rapporto pubblico/privato
In “Esterno Notte”, Bellocchio ritorna ad indagare sul delitto di Aldo Moro. E lo fa con una lucidità e un’intelligenza disarmanti
Negli ultimi mesi, abbiamo assistito a grandi ritorni su schermo che hanno rincuorato il cinema tutto. Basti pensare già solo allo scorso mese, con Martone e il suo bellissimo “Nostalgia“. O, andando più in là con la mente, all’acclamatissimo “È Stata La Mano Di Dio” di Paolo Sorrentino. Due film che hanno attestato l’ottimo stato di salute del panorama italiano, a cui ora bisogna obbligatoriamente aggiungere la nuova creatura del maestro Marco Bellocchio, ovvero “Esterno Notte“.
Per Bellocchio si tratta, in qualche modo, di un ritorno su uno degli argomenti cardine della storia italiana novecentesca tutta: la vicenda riguardante Aldo Moro. Non è la prima volta che lo stesso regista prende in esame quanto accaduto all’ex presidente del Consiglio. Già nel meraviglioso “Buongiorno, Notte“, nel 2003, infatti, Bellocchio aveva fornito la sua rilettura del sequestro dell’ex presidente della DC. A distanza di quasi vent’anni, si ritorna dunque a quanto successo a via Fani nel ’78.
Questa volta, però, sceglie un registro e una visione dei fatti completamente inedita. Una visione decisamente più completa, che si va a rapportare in toto con quella che era la cultura di massa del tempo e ne ricostruisce in modo assolutamente impeccabile e minuzioso la sua evoluzione. La divisione in due parti è sì giustificata dalla durata monstre (vale a dire cinque ore), ma lo è anche per via della volontà di realizzare un affresco totale di tutte le parti in gioco all’epoca.
Un progetto assolutamente ambizioso, questo “Esterno Notte“, che si contraddistingue per la sua capacità finissima d’indagine. Ma vediamo meglio nel dettaglio di cosa si tratta.
Affidarsi a Dio
Come detto in precedenza, “Esterno Notte” è contestualizzato in modo precisissimo e soprattutto con una cura storica assolutamente invidiabile. Dopo aver introdotto per bene il contesto di riferimento, Bellocchio si sposta in una giornata precisa, una data chiave per comprendere quanto accaduto e metabolizzarlo: stiamo parlando del 16 Marzo 1978.
Proprio quel giorno, infatti, il nuovo Governo italiano, guidato dall’allora premier Giulio Andreotti (un incredibile Fabrizio Contri), è in procinto di insidiarsi a Palazzo Chigi. Il 16 Marzo avrebbe dovuto ottenere la fiducia. Il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro (uno straordinario Fabrizio Gifuni), dopo aver tenuto la sua classica lezione di diritto penale, si sta per dirigere alla Camera dei Deputati. All’incrocio tra via Fani e via Stresa, però, un commando delle Brigate Rosse intercetta l’auto del presidente, uccidendo tutta la scorta e sequestrandolo.
Da qui in poi, inizierà la trattativa tra Stato e terroristi per riottenere la libertà di Moro. Una trattativa che in “Esterno Notte” assume dei tratti molto particolari, che andranno a sondare le psicologie di un’Italia in lotta non solo con i “nemici”, ma anche con sé stessa.
Anime perse
Come detto in precedenza, rispetto a “Buongiorno, Notte“, “Esterno Notte” porta con sé tratti ulteriormente particolari, che senza dubbi lo fanno entrare di diritto tra i migliori prodotti dell’anno (non solo nostrani). Bellocchio mantiene una freschezza unica, non dimenticandosi però dei tratti principali del suo cinema. In alcuni frangenti, sembra di assistere ad un ritratto distorto del mondo di quegli anni. Salvo scoprire che non è altro che la realtà, quella messa in scena dal regista.
“Esterno Notte” mostra lo smarrimento collettivo di figure che non riescono a farsi capaci dell’assenza di una figura chiave, non solo della politica ma del Paese tutto. Chiave perché Moro è l’unico uomo vero in mezzo ad un universo popolato da caricature, da cadaveri di un mondo mortifero, di un’Italia grottesca (tale da riportare alla mente il Petri di “Todo Modo“) che è sull’orlo dell’Apocalisse umana e sociale.
Un’Italia che non capisce più da che parte stare. Che sprofonda nella nevrosi più profonda da una parte (basti pensare all’incredibile Cossiga di Fausto Russo Alesi), mentre dall’altra (soprattutto di altre figure chiave, come l’Andreotti di Fabrizio Contri) preferisce procedere con i paraocchi.
Sono anime perse, come nel poster del film di Risi che vediamo in una scena. Anime che mirano alla conservazione e ad avere un martire per giustificarsi, e che al contempo si riscoprono completamente aride, incapaci di distinguere quale sia la verità e dove sia finita la moralità. Anime di un’Italia smarrita, con una moralità o presunta tale che vacilla. Ciò porta Bellocchio a fondere la natura grottesca delle maschere governative alla veridicità delle emozioni delle persone coinvolte in prima linea.
Come dirà poi anche lo stesso Moro di Gifuni, è una realtà dov’è “tutto grottesco, tutto sbagliato“. Una realtà dove l’assenza (e questo è il vero paradosso) assume molto più valore della presenza stessa.
La memoria storica e il punto di vista
Un gran merito di “Esterno Notte” è quello di scavare ottimamente nelle psicologie dei personaggi e dei gruppi coinvolti. In molti punti, si è alle prese con un melodramma intimo, in cui i due schieramenti simboleggiano anche due modi diversi di interiorizzare il dramma.
Per le BR, Bellocchio cerca una spettacolarità che li connota come rivoluzionari, facendo perno anche su un tipo di cinema che rappresentava fortemente gli ideali del tempo. Non è un caso che i brigatisti siano “animati” da Peckinpah. Quest’ultimo, con il suo “Wild Bunch“, diventa parte integrante dell’analisi storiografica e mediale di Bellocchio. Diventa fondamentale per comprendere gli animi di un’ideologia urlata, e proprio per questo non supportata dai propri “simili” comunisti. La DC, di contro intraprende una dimensione molto più “nascosta”/intima.
Ed è qui che si crea un corto circuito incredibile che si innesta nei protagonisti della storia. Accade che la natura del pubblico contamina prima e poi annulla in modo netto quella del privato. Ciò causa una perdizione nei due gruppi che si trasforma in una sconfitta collettiva, in un incubo senza fine. Un incubo che mostra, una volta di più, quanto la contaminazione ideologica possa essere dannosa.
La forza di Gifuni
L’unico a tirarsi fuori da quest’incubo, a conoscere già l’esito della faccenda e analizzarla con lucidità estrema è lo stesso Moro/Gifuni. Colui che guida le coscienze dell’una e dell’altra parte. Il martire “perfetto” (come profetizza, in una chiara sequenza onirica, lo stesso Bellocchio nella prima parte del film) per quest’Italia malata.
Un’Italia che non sa nemmeno più come comunicare. Bellocchio sposta la riflessione su un livello meta-linguistico (basti pensare al Paolo VI di Toni Servillo, che dimentica addirittura come parlare). Moltiplica i punti di vista mantenendo un miracoloso equilibrio.
Il richiamo ai ’70
“Esterno Notte” è anche un paranoia-movie, un horror mascherato. Dove le mura di casa diventano oggetto di insonnie, con le “stanze dei bottoni” che diventano luogo di conversazioni di “coppoliana” memoria. Dove il found footage diventa dimensione di realtà e si contrappone alla finzione del mondo rappresentato.
Un film dove l’onirismo materializza i sensi di colpa e Bellocchio può distorcere l’immagine a suo piacere tramite riprese angolari, soggettive in fish-eye dagli spioncini. Bellocchio non ha solo creato un ritratto di un’epoca. Ha portato alla luce un mondo dove la spettacolarità assorbe qualsiasi cosa. Una spettacolarità che giustifica questa società deformata, la cui moralità non esiste e, probabilmente, non è mai esistita.
“Esterno Notte” non è solo l’ennesimo capolavoro di un regista straordinario che si mantiene incredibilmente attuale pur parlando del passato. È anche la dimostrazione di come il grande cinema non sia solamente un affare d’oltreoceano. Di come, anche in Italia, esistano maestri che ancora oggi fanno scuola.
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