Il fascino morboso della morte
Viaggio ideale dalle macchine anatomiche di De Sangro ai corpi danzanti del dottor morte Gunther Von Hagens
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Il genio umano ha spesso celebrato la vita, in ogni sua forma e sfumatura. Gli europei, in particolare, quasi sempre liberi dal condizionamento dell’iconoclastia, hanno potuto creare immagini di singolare bellezza, rappresentando non solo esseri divini, ma anche uomini e donne di qualsiasi origine sociale e di qualsiasi età, riuscendo a regalare al brillio degli occhi un senso naturale di delicatezza e candore nei soggetti infantili e, negli altri casi, un senso di gioia, di disperazione, di coraggio, di pavidità, fino a coprire tutti gli innumerevoli stati dell’animo umano.
Affascinare un pubblico con la bellezza della vita è un qualcosa di comprensibile e naturale, ma quanto può essere inafferrabile e innaturale rappresentare l’orrore della morte e, soprattutto, tutto ciò che ne consegue? Eppure, non mancano nella lunga storia dell’umanità, individui che hanno scelto di rappresentare la morte, il corpo umano nell’acme della sua bruttezza ed impotenza, nel momento tragico ed irrecuperabile in cui la carne cede il passo alle ossa e gli occhi sembrano vitrei ed inquietanti, solo freddi oggetti che non celano nessun’anima. Sembra strano, ma l’orrore che suscitano questi corpi in eterno disfacimento è proporzionale al fascino che sprigionano.
Questo, ad esempio, è il caso delle “macchine anatomiche”, prodotti del genio di un anatomista palermitano, Giuseppe Salerno, e delle stravaganti passioni di un principe napoletano, Raimondo de Sangro. Chiunque vada a Napoli per osservare le reali bellezze di questa enorme città, non può non recarsi nella Cappella Sansevero, vicinissima alla Chiesa di San Domenico Maggiore. Oltre ad ospitare le celebri statue del Cristo velato, della Pudicizia e del Disinganno, questa cappella ospita anche due scheletri, un uomo e una donna incinta, interamente rivestiti di vene, arterie e capillari. Secondo una leggenda, tramandata anche da Benedetto Croce, il principe de Sangro fece uccidere due suoi servitori e li fece imbalsamare “in modo che mostrassero nel loro interno tutti i visceri, le arterie, le vene”.
I due scheletri risalgono più o meno al 1763, un’epoca in cui non c’era una conoscenza tanto approfondita del sistema coronarico. Inoltre, in quell’epoca di sicuro non c’era una tecnica di conservazione dei corpi tanto all’avanguardia da preservare perfino i capillari. L’aura di mistero che avvolgeva la figura del principe scienziato ha avvolto nei secoli anche i due misteriosi corpi, rivestendoli di una patina di macabra magia.
Oggi, grazie ai progressi della scienza ed alle moderne strumentazioni, siamo in grado di dire che i due scheletri non sono stati imbalsamati grazie all’ausilio di una qualche misteriosa sostanza, ma sono semplici scheletri rivestiti di un sistema circolatorio interamente artificiale, costituito da cera colorata e filo metallico. Forse i due scheletri erano effettivamente null’altro che “macchine anatomiche”, comuni scheletri utilizzati per fini didattici, per illustrare, quindi, l’anatomia umana anche ad un pubblico privo di particolari conoscenze mediche. Sia come sia, a distanza di secoli, i due strani scheletri continuano ad attrarre orde di curiosi che puntualmente dinanzi a questi eterni simulacri si ammutoliscono e provano una curiosa combinazione di disgusto ed interesse.
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Disgusto e interesse che, in modo del tutto simmetrico, oggigiorno ritroviamo nei corpi danzanti di Gunther von Hagens, anatomopatologo tedesco, inventore della plastinazione, una tecnica che permette di conservare i cadaveri tramite l’immissione di polimeri di silicone, sostituendoli ai liquidi. Il medico tedesco, come una sorta di moderno de Sangro, conserva corpi da destinare alla scienza, corpi che, a differenza di quelli della Cappella Sansevero, conservano una elasticità tale da rendere possibili pose plastiche e naturali, ricreando famosi quadri o scene di vita reale, a volte perfino vita idilliaca.
Ateo dichiarato, von Hagens è stato più volte tacciato da rappresentanti della Chiesa cattolica e della religione ebraica di oltraggiare i cadaveri e di spettacolarizzare la morte. Forse le controverse “creazioni” di von Hagens, a differenza di quelle di de Sangro, non hanno più una grande utilità, considerando che non siamo più nel XVIII secolo e sappiamo tutto dell’anatomia umana, eppure, mai come adesso, vi è la concreta possibilità di scrutare ed analizzare, in modo così veritiero, la morte, facendo leva non tanto sul fascino sinistro, quasi morboso, che circonda queste mostre itineranti, quanto sul rigido distacco della scienza.
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