29 Ottobre 2016 - 10:21

La camorra e le sue storie, Gigi Di Fiore, UTET 2016

La camorra e le sue storie, Gigi Di Fiore, UTET 2016

Ieri sera, alla libreria Feltrinelli di Salerno, per iniziativa dei Meridionalisti Democratici, è stato presentato il libro del giornalista e saggista Gigi Di Fiore, La camorra e le sue storie, UTET, 2016

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A moderare l’incontro, l’avvocato nonché responsabile provinciale dei Meridionalisti Democratici di Salerno, Guglielmo Grieco, che ha avuto l’indiscusso merito di allestire un parterre di vero spessore e di profonda competenza. Oltre all’ottimo Gigi Di Fiore, cantore adamantino di un meridionalismo scevro da orpelli e mistificazioni vi è stata, infatti, la presenza del professor Marcello Ravveduto, storico e scrittore (anche del fenomeno camorristico) di indubbie capacità e quella del giornalista Antonio Manzo, firma di prestigio de Il Mattino.

A leggere i nomi che avrebbero animato la presentazione, almeno per chi non avesse avuto la fortuna di conoscere Gigi Di Fiore e gli illustri relatori di cui sopra, il rischio della discettazione pedante e autoreferenziale era dietro l’angolo. E invece, grazie alla vibrante e appassionata disamina del tema camorra, prima ancora che dell’ormai best-seller di Di Fiore (La camorra e le sue storie, in realtà, è una riedizione aggiornata dell’omonimo libro del 2005), la sala della Feltrinelli ha riesumato, tra le altre cose e suggestioni, lo stereo a cassette del Patrizio degli anni ’80 che, dopo aver messo in guardia  o Tribunale (“condannando me minorenne, non fai altro che condannare ‘a miseria e Napule“) purtuttavia, alla fine della canzone, rivolge un invito accorato allo stesso Tribunale affinché gli insegni a studiare.

Ed è proprio dal confronto con questa (comunque) voglia di riscatto, di affermazione sociale dell’ormai secolo scorso, che il videoclip dei giorni nostri ne esce svilito per la sua vacuità, il suo nichilismo sconcertante: il baby neo-melodico delle innumerevoli visualizzazioni su YouTube, infatti, non ha più nulla da chiedere. Alla mamma che lo invita a studiare, risponde una porta sbattuta (eccolo il rumore del colpo di pistola-colpo di grazia di ogni anelito di redenzione) che amplifica l’inutilità di qualsivoglia esistenza al di là e al di fuori della camorra.

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Per tutta la lunghezza della sala Feltrinelli, poi, si materializza (e tutti  gli astanti col naso all’insù) una strada, via Nuova San Marzano di Scafati, che per decine di anni è stata la garanzia d’impunità del clan Galasso, almeno fino a quando qualche magistrato non ha trovato la voglia e il coraggio di attribuirle una competenza territoriale (nel caso specifico Napoli, ma poteva essere anche Salerno, data la natura di terra di confine fra le due province di Scafati) per rianimare una Giustizia al collasso da troppi lustri.

E ancora i “quartieri-Stato divenuti zone franche in cui il regime repubblicano è stato sostituito dall’autorità dei clan”i venticinque colloqui “istituzionali” con il boss Raffaele Cutolo che sembravano presagire una sua collaborazione svanita, però, non appena sono entrati in gioco pezzi deviati dello Stato.

La Camorra e le sue storie di Gigi Di Fiore è un saggio scritto con il pathos e la cadenza del romanzo. D’altra parte, è lo stesso scrittore a confermarci come alla base delle sue fonti non ci siano soltanto gli atti giudiziari, ma anche numerosi libri, film e rappresentazioni teatrali (come non citare, al proposito, Il Sindaco del rione Sanità di Eduardo De Filippo?), oltre che colloqui e interviste con persone facenti parte a vario titolo del mondo camorristico; il tutto, per dare a quest’opera il taglio accattivante (tentativo, ci sentiamo di dire, perfettamente riuscito)  in grado di tenere avvinta l’attenzione del lettore fin dalle prime pagine.

Alla fine di questa illuminante presentazione, lo scrittore ci confessa che una delle sue paure, nella redazione del libro, era quella di rendere fascinosi i personaggi di camorra fino a trasformali, così, in veri e propri modelli. Fortunatamente, però, come gli ha confermato un suo lettore in un precedente incontro (e qui gli occhi di Gigi Di Fiore ancora sorridono per lo scampato pericolo), tutti ‘e malament fanno una brutta fine.

La sala ammaliata, quindi, va via con il ricordo dello scrittore di Petru Birladeanu, rom di nazionalità rumena, ucciso mentre suonava il suo organetto nella stazione di Montesanto (dopo la sua morte a lui intitolata nonostante il nostro tempo fatto di Gorino e Giungle di Calais) da proiettili vaganti sparati da pistole di camorra.

Gilles Vigneault diceva che la violenza (e la camorra è la massima espressione della violenza) è una mancanza di vocabolario. E allora, Di Fiore, sulla scorta del suggerimento di Paolo Siani, fratello di Giancarlo, ci invita a insegnare questo vocabolario fin dalle scuole materne: già alle elementari, ci mette in guardia lo scrittore, le parole della legalità e della coscienza civica potrebbero risultare troppo ostiche.

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