David Lynch, l’icona, l’uomo e l’arte prima del regista
David Lynch: The Art Life dopo l’uscita al cinema verrà trasmesso da Sky Arte HD a marzo 2017. Rick Barnes, Jon Nguyen e Olivia Neergaard-Holm raccontano marginalmente il regista, soffermandosi sul suo privato visionario
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David Keith Lynch (Missoula, 20 gennaio 1946) e il suo visionario mondo di oscuri e fantastici sogni, hanno trovato spazio prima nella smodata passione per la pittura, poi nel riscoperto interesse per l’immagine in movimento.
Così David Lynch ha creato una sua personale ricerca e dimensione visiva, in cui mostrare al mondo la sua esplorazione della materia, vivisezionando lo sguardo dello spettatore attraverso il suo labirinto immaginifico, capace di svelare altri scenari possibili interni alla realtà stessa.
La sua carriera cinematografica iniziò nel 1977, con il primo film, Eraserhead: La mente che cancella, una pellicola “spirituale” come definita dallo stesso Lynch, che lavorò alla sua realizzazione in modo ossessivo per cinque anni. Con un impianto sonoro industriale e il viraggio al bianco e nero, il film finalmente terminato non venne distribuito perché reputato troppo bizzarro: il tempo gli restituì il giusto valore. Iniziò così l’ascesa di David Lynch, centellinata e di nicchia, segnata profondamente da altri 9 lungometraggi, tutti rigorosamente ansiogeni.
Nel 1980 venne finalmente notato da Mel Brooks che decise di affidargli la regia di The Elephant Man. Allora David Lynch diresse il recentemente scomparso John Hurt nel greve e mesto ritratto in bianco e nero di John Merrick, freak affetto da Sindrome di Proteo: per rendere più verosimile il suo personaggio si servì dei calchi del corpo del vero Merrick, conservato nel museo del Royal London Hospital.
Ma solo con il noir Blue Velvet (1986) che David Lynch diede origine alla sua poetica, al suo stile ricercato e torbido, e agli elementi poi ricorrenti della sua filmografia: la storia di una ragazza sensuale in pericolo – la musa Isabella Rossellini – e le visioni grottesche a fare da cornice rendono questa pellicola un cult per eccellenza.
Il torvo e vizioso Strade Perdute (1996), con la colonna sonora firmata da Trent Reznor dei Nine Inch Nails e Marilyn Manson nel cast, è ad oggi il film più glamour di Lynch. Nel 2001 l’astrazione onirica e la disturbante potenza visiva di Mulholland Drive delimitano l’opera più enigmatica di David Lynch.
Dopo 12 anni di lavoro e una campagna di crowdfunding, Rick Barnes, Jon Nguyen e Olivia Neergaard-Holm ci mostrano il tenebroso maestro nel suo rapporto privato con la figlia e con l’arte. David Lynch: The Art Life combina estratti e musiche delle prime opere a filmati registrati nello studio privato, alla pittura e alla scultura nello slancio creativo ancora coltivato accanto alla musica, ultimo amore manifesto del regista.
E mentre c’è grande attesa per il ritorno, a partire dal 21 maggio 2017 su Showtime, a 25 anni di distanza, del sequel di Twin Peaks, serie cult degli anni Novanta su una turbata America di provincia, David Lynch: The Art Life celebra l’icastica esistenza di un regista vittima della maledizione del suo stesso nome, più impresso nell’immaginario collettivo della sua stessa opera.
Jon Nguyen, Rick Barnes, Olivia Neergaard-Holm infatti mettono da parte il regista per concentrarsi sull’uomo e sul suo potenziale visionario e creativo, soffermandosi sull’aspetto ontologico della percezione lynchiana.
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