7 Settembre 2016 - 11:22

Diario di bordo 73a Mostra del Cinema di Venezia. Profumo di donna

profumo di donna

Profumo di donna ovvero: Come eravamo. Un film che in un piacevolissimo “amarcord” ci racconta l’Italia degli anni Settanta

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Da qualche anno, dal 2012 per l’esattezza, andare al festival del cinema di Venezia vuol dire anche imbattersi in film classici restaurati e sulla scia del Cinema Ritrovato di Bologna che troviamo anche al lido i film che ci hanno fatto sognare e quelli che hanno segnato la storia del cinema.

Quest’anno mi sono imbattuta in uno dei miei registi preferiti, nonché uno dei miei film preferiti, Profumo di donna, e mi sono chiesta, cosa vuol dire rivedere un film classico come questo?

Cosa rappresenta in realtà un classico del cinema?

La risposta è: Noi. Questi film siamo noi nella storia, noi negli anni. È impossibile rivedere un classico senza intercettare in qualche modo qualcosa di noi stessi in quello che stiamo vedendo, perché un film classico che riprende vita dal passato porta con sé tante cose, la storia, il contesto in cui è nato, un po’ della nostra infanzia, la prima volta che lo abbiamo visto.

Profumo di donna è tutto questo e anche di più. È uno spaccato dell’Italia negli anni Settanta è quello che noi italiani siamo stati in quel periodo. Racconta come siamo usciti dal Boom e verso quali venti ci stavamo dirigendo. Gli anni Settanta furono chiamati “anni di piombo”, l’ottimismo del decennio precedente lasciò spazio alla disillusione di un mondo che affrontava la dura realtà delle speculazioni edilizie, il terrorismo delle brigate rosse e l’atteggiamento gigionesco di molti personaggi della commedia di quegli anni lasciò lo spazio alla malinconia di una giovinezza e un vitalismo che non c’erano più. Le canzoni italiane sulla spiaggia, ballate guancia a guancia in riva al mare o nei bar affollati non ci sono più.

In Profumo di donna vediamo un’altra versione del vitalismo di Bruno Cortona, (protagonista de Il Sorpasso) un vitalismo però mutilato e oppresso dall’assenza del bene più grande, la vista. Quella che permetteva all’uomo di vedere la meraviglia più grande, la donna.

Fausto Consolo (Vittorio Gassman), ex militare rimasto cieco durante un’esercitazione, intraprende un viaggio da Torino a Napoli dove ha deciso di incontrare un collega, cieco come lui e una volta insieme i due si toglieranno la vita. Ad accompagnarlo c’è il mite attendente Giovanni (Alessandro Momo) su cui l’uomo scarica tutto il suo cinismo, ma a cui fa anche da maestro.

Il tema del viaggio ritorna di nuovo nella filmografia di Dino Risi, questa volta non c’è la macchina, ma rivediamo comunque lo stesso schema. Un uomo spavaldo e pieno di vita che ama le donne e il buon cibo, estroverso e furbo, in contrapposizione a un giovane decisamente più tranquillo e insicuro. Al termine del viaggio, però, non vi sarà la morte del più debole, ma il tentato suicidio del più forte, perché per un uomo con uno slancio vitale tanto imponente, non vedere è il peggiore dei castighi. Alla fine del percorso che i due avranno compiuto insieme entrambi, forse, avranno imparato qualcosa. Fausto accetterà, tra rassegnazione e una sorta di serenità le cure di Sara (Agostina Belli) la ragazza che da sempre è innamorata di lui.

In questo film si vedono i caratteri tipici della filmografia di Risi, le musiche per esempio, possiamo ascoltare Champagne di Peppino di Capri e vedere un pranzo in trattoria in riva al mare, tipica scena collettiva, immancabile in questo genere di commedia. Il film è forte anche per quanto riguarda la sceneggiatura, scritta dallo stesso Risi e da Ruggero Maccari, tratta dal romanzo di Giovanni Arpino, Il buio e il miele.

Gli anni Settanta, rivelano, come vediamo da questo film, la decadenza di un mondo che un tempo, nel decennio Sessanta, era stato pieno di speranze e luminoso. Adesso non c’è luce e non c’è speranza, gli anni ruggenti sono finiti si ha la sensazione che la gioventù e la spensieratezza siano ormai andati. Anche se nel film, infatti, sono presenti i giovani, vediamo che negli sguardi di questi personaggi non c’è lo stesso slancio vitale che abbiamo per esempio in Romolo e Salvatore di Poveri ma belli, o in Luisa e Franca di Viale della speranza o ancora negli occhi pieni di forza e di vita di Bruno nel Sorpasso.

È come se tutto si fosse spento e la cecità di Fausto, non è solo effettiva del personaggio, ma metaforica di tutta una condizione sociale, come se non si riuscisse più a vedere la luce in un Paese ormai cambiato e privo delle speranze di un tempo. Fausto rappresenta questo Paese, rappresenta la resa di fronte a mille difficoltà e la mancanza di voglia di lottare e di vivere. Rappresenta quello che siamo stati.

Profumo di donna, fra tutti, è il film che meglio riesce a suscitare nello spettatore quel processo di catarsi di cui ci parlava Aristotele nella Poetica. Se molti dei personaggi di Risi, infatti, sono grotteschi e caricaturali, al punto da non creare l’immedesimazione, ma piuttosto la distanza e quindi un’osservazione più critica, non avviene lo stesso per Profumo di donna, in cui riusciamo a provare empatia per i personaggi e la situazione. Profumo di donna è un gioiello della cinematografia italiana.

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