29 Settembre 2021 - 19:25

Fabrizio De Andrè: “La Buona Novella” viene tradotto in dialetto siciliano

Fabrizio De Andrè

L’album “La Buona Novella” viene tradotto in dialetto siciliano. Dori Ghezzi, a tal proposito, afferma: “Fabrizio amava spesso ripetere “un uomo che perde il dialetto è come un animale che perde l’istinto “

Pubblicato nel 1970 La Buona Novella è il quarto LP di Fabrizio De André ed è un concept album: tutte le canzoni sono collegate, infatti, da un significato o da una tematica comune che, in questo caso specifico, è la storia della famiglia di Gesù Cristo.

Immaginiamo il ribelle Faber, come l’aveva soprannominato il fedelissimo amico Paolo Villaggio, pensare alla composizione di quest’album, concentrato e totalmente rapito da musica e parole e dai Vangeli Apocrifi, dai quali ha tratto la materia prima per la realizzazione di questa meraviglioso gioiello musicale.

Ma cosa sono, esattamente, i Vangeli Apocrifi?

Con il termine “apocrifo” ci si riferisce a quei Vangeli non ufficialmente riconosciuti dalla Chiesa.

La Chiesa, in un determinato momento storico, decide di esaminare i numerosi testi in circolazione e di determinare quali erano degni di essere considerati “ispirati” e, quindi, da adoperare come base per la liturgia e la dottrina.

Fabrizio De André durante la composizione dell’album

Robertò Danè, produttore di questo disco, descrive così De Andrè in quel periodo:

“ E non ti dico le rime. Non dovevano essere banali e mai di poco pregio. E la metrica; precisa, puntuale ma con dei buchi ogni tanto, dei punti di rilascio”.

“Bicio”, come lo chiamavano in famiglia, afferma a proposito del suo disco:

I Vangeli apocrifi sono una lettura bellissima. Io considero il Vangelo, anche quello scritto dai quattro evangelisti ufficiali, il più bel libro d’amore che sia mai stato scritto. Ci sono molti punti di contatto con l’ideologia anarchica” […].Ho scritto queste canzoni in pieno Sessantotto e resto convinto che abbiano una forte carica rivoluzionaria. Con LA BUONA NOVELLA ho voluto dire ai miei coetanei di allora: guardate che le nostre stesse lotte sono già state sostenute da un grande rivoluzionario, il più grande della storia…Gli insegnamenti di Cristo: abolizione delle classi sociali e dell’autoritarismo e creazione di un sistema egualitario. Gesù ha combattuto per una libertà integrale, piena di perdono. Il perdono è un elemento straordinario”.

Di chi è stata la prima idea?

La prima idea è stata di Roberto Danè. Nel 1969 propose a Casetta, proprietario della Bellidisc, di realizzare con Duilio Del Prete un disco basato sui Vangeli aprocrifi, sulle storie di Gesù tramandate e non accettate ufficialmente dalla Chiesa. Alla fine tutti decisero di rivolgersi a De Andrè.

Cosa distingue” i personaggi deandriani” dai personaggi originari della Chiesa?

Nella BUONA NOVELLA di De Andrè i personaggi sono carichi di umanità e di profonda dignità. Fabrizio, ad esempio, ha reso più pragmatica anche la figura di Giuseppe, considerata molto di sfuggita nei testi ufficiali. La figura di Gesù Cristo, centrale in tutti i Vangeli, è analizzata in questo album solo durante la Passione.

L’album, che è uno dei più famosi della storia della musica italiana e che ha toccato il cuore di tutti, è composto da 10 brani:

  1. Laudate Dominum.
  2. L’infanzia di Maria
  3. Il ritorno di Giuseppe
  4. Il sogno di Maria
  5. Ave Maria
  6. Maria nella bottega di un falegname
  7. Via della Croce
  8. Tre Madri
  9. Il Testamento di Tito
  10. Laudate hominem

La Buona Novella” di De Andrè sarà tradotto in siciliano?

Famosissimo in Italia e in tutto il mondo, l’album “La Buona Novella” del mitico Faber sarà tradotto in siciliano. Il dialetto siciliano possiede innumerevoli e particolarissime sfumature, le quali potrebbero sicuramente conferire ai testi e alla musica una magia ed un’energia infiniti.

Il Progetto della traduzione è stato firmato da Francesco Giunta, poeta, cantautore, cantastorie, linguista e grande appassionato del cunto, arcaica forma di racconto in dialetto siciliano, dalle antichissime origini greche fissatesi stabilmente durante il Medioevo. Una tradizione molto distante dalla nostra vita di oggi e che Mimmo Cuticchio contribuisce a restaurare e a far rivivere.

Al fianco di Francesco Giunta ci sono le voci di Cecilia Pitino, Alessandra Ristuccia, Laura Mollica, Giulia Mei, accompagnate al pianoforte da Beatrice Cerami e dal chitarrista Giuseppe Greco, con l’aggiunta delle narrazioni del cantautore romano Edoardo De Angelis, la partecipazione della Fondazione Fabrizio De André Onlus guidata dalla superlativa Dori Ghezzi, la quale afferma:

<<Fabrizio amava spesso ripetere “un uomo che perde il dialetto è come un animale che perde l’istinto”, e mi sarebbe piaciuto che avesse avuto la possibilità di ascoltare questo riadattamento in siciliano[…] L’album è una riscrittura, una rilettura che vuole prendere le mosse, o forse riprenderle, dal grande lavoro del Fabrizio dialettale, che in questo progetto passa diretto per la lezione che Pier Paolo Pasolini ci ha insegnato nel Decamerone e nei Racconti di Canterbury: un’Italia da riscoprire attraverso le sue tante lingue>>.

Analisi dell’album “La Buona Novella”: un LP che ci fa sentire umani

Fabrizio riesce a commuovere sempre, a commuovere per sempre ed ogni traccia dell’album è ricca di emotività e di profonda dolcezza:

-Laudate dominum è un inno all’umanizzazione divina. I suoi toni solenni ricordano le musiche intonate nelle chiese. Tre minuti di battiti infiniti, tre minuti di lacrime, le quali si mescolano alla figura di Cristo che si fa carne:

“Non posso pensarti figlio di Dio

ma figlio dell’uomo, fratello anche mio”.

Questo testo ben si accorda con le idee che Fabrizio De Andrè aveva circa la figura di Cristo:

“[…] Ho bisogno, e credo tutti come me, di considerarlo come un uomo e di considerare umana tutta la sua storia. Perché se lo si considera un Dio non si può imitare; se lo si considera un uomo, sì”.

L’infanzia di Maria è di una tenerezza disarmante. La voce profonda di Faber, come un cantastorie medievale, ci conduce in un’epoca dimenticata e fiabesca. La melodia della canzone assume ritmi inaspettati e la delicatezza con cui il talentuoso cantautore genovese parla di Maria è disarmante:

“E quando i sacerdoti ti rifiutarono alloggio

avevi dodici anni e nessuna colpa addosso

ma per i sacerdoti fu colpa il tuo maggio

la tua verginità che si tingeva di rosso

la tua verginità che si tingeva di rosso”.

Il ritorno di Giuseppe è una canzone scandita da ritmi precisi, che rimandano a sentimenti di nostalgia, di rimembranza e di rammarico.

Dopo aver descritto il paesaggio lungo il cammino si sofferma sul piccolo regalo che l’uomo sta portando alla sua sposa quasi bambina:

Odore di Gerusalemme,

la tua mano accarezza il disegno

d’una bambola magra,

intagliata nel legno“.

Un atto di amore e di umanità, che vale da premessa al mal dissimulato rimprovero verso coloro che non hanno consentito ad una bambina di “avere il suo tempo”. Riferendosi alla bambola il testo continua:

“La vestirai, Maria,

ritornerai a quei giochi

lasciati quando i tuoi anni

erano così pochi“.

Il sogno di Maria è la canzone più oscura e controversa di tutto l’album. La canzone parla di un sogno e possiede, quindi, un andamento spezzato e frammentato. La sposa-bambina parla dell’incontro con un angelo che era solita andare a trovarla nel tempio:

“E la parola ormai sfinita

si sciolse in pianto,

ma la paura dalle labbra

si raccolse negli occhi

semichiusi nel gesto

d’una quiete apparente

che si consuma nell’attesa

d’uno sguardo indulgente”.

Parlando di questa canzone, in un certo senso, molto prima di scriverla De Andrè disse:

“I teologi hanno derubato la Madonna dell’eros, l’hanno condannata alla verginità. E allora restituiamole il maltolto: Maria è una ragazza costretta a sposare un uomo molto vecchio, un giorno incontra un individuo misterioso, giovane come lei e presumibilmente bellissimo e si fa mettere incinta, credendolo un angelo”.

Ave Maria è una delle canzoni sulla maternità più belle che siano mai state scritte in tutta la storia musicale italiana. Maria, nell’intimità e nella dolcezza della sua gravidanza, è protetta solo da sguardi che la cullano e la guardano per davvero. “Una siepe di sguardi che non fanno male” costella Maria ed il suo bambino, rimarcando e perpetuando questa indescrivibile condizione che appartiene alle donne soltanto: la maternità.

Dè Andrè era affascinato da questa tematica e dalle donne che una volta divenute madri lo sono per sempre, oltre ogni temporalità circoscritta:

“Femmine un giorno e poi madri per sempre

Nella stagione che stagioni non sente”.

Immaginiamo Fabrizio accanto alle madri dei suoi figli. Immaginiamo Enrica Rignon e Dori Ghezzi nel pieno della maternità, nei nove mesi che hanno segnato le loro vite. Immaginiamo gli occhi di Fabrizio incamerare queste immagini e avvolgerle dentro, come in una placenta,per poi dare alla luce questa favolosa opera musicale che ha il sapore delle lacrime dei fan più fedeli di Fabrizio.

-Maria nella bottega di un falegname

In questa canzone avvertiamo una congiunzione fortissima tra la figura di Cristo e la figura di Maria: si passa dai trentatré anni  di Gesù alla sua Passione e morte in croce. La canzone è singolare e parla dell’incontro di Maria con il falegname che sta costruendo le croci:

Maria:

“Alle piaghe, alle ferite

che sul legno fai,

falegname su quei tagli

manca il sangue, ormai,

perché spieghino da soli,

con le loro voci,

quali volti sbiancheranno

sopra le tue croci”.

La musica è ritmica. L’attesa è fortissima. Il pathos cresce ed il cuore sembra battere allo stesso ritmo del martello.

Via della Croce

Gesù Cristo viene raffigurato nell’apoteosi del dolore: la Passione.

In questo circuito di dolore Cristo non è solo ma vi sono:

1. I padri dei bambini uccisi durante la persecuzione di Erode:

“le voci dei padri di quei neonati

Da Erode per te trucidati

-2. Le donne addolorate:

“fedeli umiliate da un credo inumano

che le volle schiave già prima di Abramo”.

-3. Gli apostoli:

confusi alla folla ti seguono muti

Sgomenti al pensiero che tu li saluti”.

-4. I rappresentanti del potere:

“il potere vestito d’umana sembianza,

ormai ti considera morto abbastanza”.

-5. I poveri:

“ma gli occhi dei poveri piangono altrove,

non sono venuti ad esibire un dolore”.

-6. I due ladroni:

“non hanno negli occhi scintille di pena.

Non sono stupiti a vederti la schiena…”.

7. Le madri:

“ a piangerli sotto non han che le madri,

in fondo sono solo due ladri”.

-Tre madri

La canzone è dolcissima ed il violino iniziale contribuisce ad innalzare il tono della canzone che vede come protagoniste le tre madri: Maria e le madri dei due ladroni, Tito e Dimaco:

“Tito non sei figlio di Dio

Ma c’è chi muore nel dirti addio”.

Mentre Maria sa che il figlio risorgerà le altre due madri, in preda all’agonia e al dubbio, piangono più forte:

“Con troppe lacrime piangi, Maria

Solo l’immagine di un’agonia

Sai che alla vita nel terzo giorno

Il figlio tuo farà ritorno”.

“Lascia a noi piangere un po’ più forte

Chi non risorgerà più dalla morte“.

-Il testamento di Tito

Fabrizio De Andrè fa riferimento al Vecchio Testamento e, più precisamente, ai Dieci Comandamenti ricevuti da Mosè.

Il Testamento di Tito è una canzone divenuta subito famosa ed apprezzata immediatamente dal pubblico proprio per la sua originalità. Il cantautore ,a tal proposito, afferma:

“Il testamento di Tito, insieme all’Amico Fragile, è la mia miglior canzone. Dà un’idea di come potrebbero cambiare le leggi se fossero scritte da chi ha il potere non ce l’ha. È un’altra delle canzoni scritte con il cuore, senza paura di apparire retorico, e riesco continuamente a cantarla ancora oggi, senza stanchezza”.

Nel suo “testamento” Tito  prende in esame tutti i comandamenti per mettere in luce chi li ha violati.

Interessante è citare il secondo comandamento

“Non pronuncerai invano il nome del Signore tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano”.

…e come viene esaminato nella canzone:

“Non nominare il nome di Dio,

non nominarlo invano.

Con un coltello piantato nel fianco

gridai la mia pena e il suo nome:

ma forse era stanco, forse troppo occupato,

e non ascoltò il mio dolore.

Ma forse era stanco, forse troppo lontano,

davvero lo nominai invano”.

Qui De André sembra riferirsi ad una nota molto particolare: molto spesso Dio è assente sulla scena del mondo e, di conseguenza, pare essere anche inutile invocarlo. Su questa riflessione possono tranquillamente mostrarsi ostili tutti coloro che, invece, hanno invocato Dio, hanno sentito scorrere la sua luce dentro le vene e sono entrati nella sua Grazia.

Laudate hominem

L’ultima canzone, Laudate Hominem, racchiude tutto il significato dell’album.

Un primo pezzo racconta che il potere uccise un uomo, poi lo chiamò Dio e in suo nome uccise tutti gli altri uomini. Il secondo passaggio invita i fedeli ad abbracciare una forma di fede incentrata sul perdono. La terza ed ultima parte parla di chi ha cercato di imitare Dio senza riuscirci.

Ci sembra di rivedere Fabrizio, le sue sigarette, il suo bicchiere di Whisky tra le mani ed il suo sguardo trasognato e riflessivo. Ci sembra di sentirlo incastonato in ogni nota, in ogni parola, in ogni rivoluzione, nello sguardo di ogni “ultimo” che incrociamo per strada e che si fa “Cristo” sceso in terra. Fabrizio vivrà per sempre nella nostra lingua e nel dialetto siciliano che oggi, come non mai, diventa il tramite indiscusso, la sonorità della lingua che, unita ai testi di Faber, diventa eterna, sublime.