Hitchcock e il cinema di genere
Sir Alfred Joseph Hitchcock, nato a Londra il 13 agosto 1899, moriva a Los Angeles il 29 aprile 1980. Oggi nel 37esimo anniversario dalla sua morte, ZonMovie propone una lettura di genere, da Laura Mulvey a Tania Modleski, di Notorius, L’amante perduta
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La filmografia di Hitchcock può essere suddivisa in due grandi periodi: il periodo inglese, che va dal 1925 al 1940, durante il quale ha diretto ventitré film, di cui nove muti; e il periodo americano, che va dal 1940 al 1976, durante il quale ha diretto trenta film, fra i quali si annoverano i suoi titoli più noti.
Del periodo americano fa parte Notorious – L’amante perduta (1946) con Ingrid Bergman e Cary Grant. Questo melò sullo spionaggio è l’ultimo film antinazista di Hitchcock, che conclude una serie di film d’impegno politico: Il prigioniero di Amsterdam, Sabotatori, Prigionieri dell’Oceano, e i due documentari Bon Voyage e Aventure malgache, girati durante la seconda guerra mondiale.
Notorious ha in sé un’ambiguità di senso: qui il titolo del film fa riferimento al comportamento della protagonista, ritenuto immorale.
Una storia basata su un dualismo antitetico tra amore e dovere, morale individuale e bene collettivo, di una donna divisa fra due uomini, la spia Devlin (Cary Grant), di cui è innamorata, ma che non si fida di lei, e il marito Alex, che la venera e che non sospetta il suo tradimento come moglie e spia.
Le attrici predilette da Hitchcock furono Grace Kelly e Ingrid Bergman: una costante presenza di donne alte e bionde, dai lineamenti delicati, ma che spesso celano ambiguità e malvagità, come Melanie de Gli uccelli (1963) o Madeleine di Vertigo – La donna che visse due volte (1958). Quindi una lettura al femminile della filmografia hitchcockiana risulta quasi scontata.
A riguardo, nel 2005 veniva pubblicato il saggio di Tania Modleski The women who knew too much. Hitchcock and feminist Theory, che nel titolo fa eco ad un film dello stesso geniale e eclettico regista: The man who knwe too much del 1934, oggetto anche di un suo remake nel 1956 (il periodo americano).
Il saggio della Modleski propone un’interpretazione di Notorius che si sviluppa da un punto di vista femminile, al pari del ben più noto e precedente saggio di Laura Mulvey, teorica del cinema, sceneggiatrice e regista cinematografica inglese. Famosa per il saggio Visual pleasure and narrative cinema (Piacere visivo e cinema narrativo del 1975), la Mulvey è la teorica femminista che ha introdotto strumenti psicoanalitici e semiotici nello studio del cinema classico hollywoodiano, le cui manipolazioni di genere evidenziavano una struttura gerarchica e patriarcale. Questa presa di coscienza, svelava il ruolo relegato all’attrice in quanto donna: un feticcio visivo, una “bambola” indifesa, pronta ad allietare la visione del pubblico maschile.
Sulla scia della teorizzazione della Mulvey si sviluppò, a fine ’70, una certa avanguardia artistica e un postmodernismo critico al femminile. Tra tutte le artiste di questa corrente, che denunciava la cultura di massa e la visione di genere, spiccano ancora oggi Cindy Sherman e Barbara Kruger, che, nell’arte a primato maschile, per la prima volta proponevano un modello femminile che si sottraeva ad una “coscienza” maschilista, attraverso la frammentazione dell’immagine e la messa in ombra delle parti.
In The women who knew too much. Hitchcock and feminist Theory, Tania Modleski sostiene un approccio critico alla filmografia di Hitchcock, spesso interpretato come un misogino, o, al contrario, come progressista rispetto alla condizione delle donne nel patriarcato hollywoodiano. Applicando le teorie psicanalitiche ad un’attenta lettura di sette film di Hitchcock, anche in relazione alle figure femminili presentate in altri film hollywoodiani degli anni ’40-’50, Tania Modleski stila un profilo di Elena – Alicia nell’originale inglese – Huberman, contrapponendo al personaggio maschile di T. R. Devlin, emblema del “fare”, dell’ “agire”, quello femminile, quale espressione del “sapere”.
In questa analisi di Notorius, il personaggio femminile viene connotato per i problemi di vista, parallelo emblematico del ruolo della “visione”. Ad esempio, quando Elena/Alice mentre guida ubriaca afferma: “Stanotte c’è nebbia!”, Devlin le chiarisce che sono i suoi stessi capelli spinti dal vento sugli occhi a provocarle l’offuscamento del campo visivo. Nella scena seguente quando è a letto in preda ai postumi di una sbornia, Alicia vede la figura di Devlin sottosopra; oppure quando nel tragitto che percorre fino alla sua camera, distorce il contesto, mentre le forti emicranie, causate dal veleno, la portano a preferire l’oscurità.
Lo sguardo quale strumento di interpretazione, oggetto anche del saggio Scrittura, enunciazione, autore. Hitchcock nel bicchiere di Guglielmo Pescatore, prende in considerazione il rischio d’errore e della presenza incombente del dubbio: così il vedere non corrisponde mai al “sapere”, al “conoscere”. In ciò il personaggio femminile diviene la chiave dell’effetto di suspense ricercato da Hitchcock: l’ansia e la paura dello spettatore sono commisurati al grado di consapevolezza o di incoscienza del pericolo che grava sul personaggio, sensazioni rimarcate da temi musicali accentuati, da ombre e luci particolari. Il bere diventa così un motivo ricorrente del film (dai drink al whisky, dallo champagne del ricevimento alla cantina piena di finte bottiglie d’annata, contenenti uranio), in cui Elena/Alicia appare ubriaca fin dall’inizio, scambiando, verso la fine, i sintomi dell’avvelenamento con quelli dovuti all’effetto dell’alcol.
La caratterizzazione di questi personaggi ha alimentato il pregiudizio di misoginia, ricollegabile ai rapporti difficili con l’altro sesso, che il solitario regista ebbe in fase adolescenziale. Ma i saggi citati dissentono da tale considerazione. Alicia inizialmente viene connotata in tutta la sua sensualità, tant’è che Devlin le presta il suo foulard da annodare intorno alla vita scoperta – “a scanso di guai” come egli stesso dice – ma che nel finale per l’incombere della “malattia” si trasforma progressivamente, fino a divenire incorporea. Ecco che lo spettatore viene eluso dal soffermarsi sul suo aspetto, iniziando a temere per la sua sorte.
Alicia, da “preda” della manipolazione di Devlin, che su di lei riesce ad avere un forte ascendente, diviene investigatrice, usando il suo fascino per ottenere le informazioni desiderate. Così da oggetto di visione, la figura femminile ne diventa agente. Questa “Mata Hary” hitchcockiana viene contrapposta al freddo e cinico Devlin, che antepone il lavoro ai sentimenti, e alla figura negativa di suo padre, Mr. Huberman: Alicia fa la cosa giusta, accettando l’incarico per non tradire la madre e la patria – entrambe americane – e per espiare le colpe del padre. In realtà il vero misogino è all’interno di Notorius: l’insistere di Devlin, nella colpevolizzazione di Mr. Huberman e nella morale alla promiscuità di Alicia, è un modo per espletare il sadismo nei suoi confronti, un’ennesima forma di controllo esercitata dall’uomo sulla donna.
Altro personaggio femminile di Notorius è quello della madre di Alex, Madame Sebastian, che dissente da sempre al matrimonio con Alicia: di lei non si fida, poiché non ha testimoniato al processo contro il padre, potendolo così scagionare. Anche questa figura è affetta da problemi di visione, infatti sospetta ma non ha le prove sullo spionaggio di Alicia. Quando Alex confessa di aver scoperto che Alicia è una spia, Madame Sebastian risponde: “È tutto chiaro come il sole. Sentivo ma non vedevo”.
In questa figura, causa ed artefice del lento ed insospettabile avvelenamento, confluisce l’aspetto psicanalitico delle figure materne ingombranti e inquietanti, di donne che hanno paura di essere abbandonate dai figli. Ritroviamo quindi il conflitto Edipico, proprio della cinematografia matura di Hitchcock, che, nel delineare una genitrice imperiosa e inibente, getta un primo abbozzo della figura della madre, determinante per il film Psycho del 1960.
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