9 Ottobre 2020 - 16:16

Lost in Translation: un film sull’impossibilità di comprendere la vita

lost in translation

Lost in Translation è un film del 2003 scritto, diretto e prodotto da Sofia Coppola e con protagonisti Bill Murray e Scarlett Johansson

Il lungometraggio, candidato a 4 premi Oscar, ha visto vincitrice Sofia Coppola per la miglior sceneggiatura originale. Inoltre il film è stato insignito di un BAFTA per la migliore attrice protagonista alla Johansson.

La trama del film

Il film narra il viaggio nella terra del sol levante di due cittadini americani. Bill Murray veste i panni di Bob Harris, una stella del cinema alcolizzata e in declino che atterra a Tokyo per girare lo spot di una nota marca di whisky giapponese. Scarlett Johansson ha invece il ruolo di Charlotte, sposina neolaureata in filosofia che ha accompagnato il marito John in Giappone per realizzare un servizio fotografico. I due sono accomunati da una profonda crisi esistenziale. Nel caso di Bob causata dall’arrivo della mezza età, e un matrimonio ormai alla deriva dopo 25 anni. Per Charlotte invece, la crisi è data dalla scelta repentina di sposare un uomo che la trascura mentre si prospetta di fronte a lei un futuro incerto.

Siamo esseri incompresi

Il film ha come principale protagonista la megalopoli: Tokyo. Un luogo nel quale milioni di persone vivono freneticamente. L’impatto con quella moltitudine di vite provoca smarrimento. Siamo davvero importanti? In quale direzione sta andando la nostra esistenza? Quante strade e quali possibilità ci sono davanti a noi?                          Nulla ha davvero senso in quel caleidoscopio di luci al led. Bob e Charlotte sono allora alienati sia in rapporto con la realtà esteriore che con il proprio io profondo.

La felicità e la solitudine

Anche in uno dei luoghi più popolosi al mondo, circondati da milioni di persone, la solitudine può fare breccia nel nostro animo. Charlotte e Bob si rendono conto che di fronte alla molteplicità della vita siamo soli con noi stessi e le nostre emozioni. Spetta forse a noi decidere se farci travolgere dalla disperazione e dall’inquietudine, oppure trovare la forza interiore per andare avanti.                                                                              Rispetto, però, a quello che molto spesso, anche retoricamente ci viene detto, la felicità non si raggiunge senza qualcun altro che arrivi ad illuminarci il cammino. L’altro ci fa sentire compresi, accettati ed in grado di esternare la nostra vera natura. Charlotte e Bob capiranno ben presto che per superare i loro drammi esistenziali non dovranno far altro che vivere assieme l’esperienza e la scoperta. Ritrovando in entrambi la parte mancante in grado di tappare, almeno per un momento, i cupi sentimenti sulle loro esistenze.

La colonna sonora

Dietro un grande film c’è anche sempre una grande colonna sonora.                       La città, i suoi colori, la sua gente ed i suoi remoti angoli quotidiani, si intrecciano alla musica. Un suono in grado di permeare lo sfondo delle giornate di Charlotte e Bob con un velo sottile di costante malinconia. Quasi come se ogni istante vissuto stesse già soffrendo per il momento in cui tutto svanirà.

Il film si conclude infatti in maniera sublime con le note di “The Jesus And Mary Chain – Just Like Honey. Il testo è emblematico nel descrivere la potenza di una fine:

“Walking back to you                                                                                                      Is the hardest thing that
I can do. That I can do for you.
For you.”

“Tornare indietro da te                                                                                                   è la cosa più difficile che posso fare.                                                                          Che posso fare per te.                                                                                                    Per te.”

La struggente malinconia di un addio

Il rapporto tra Bob e Charlotte nasce in albergo. Luogo di persone che vanno e vengono per non ritrovarsi mai più. La loro avventura nella capitale giapponese non è altro, quindi, che una parentesi felice, uno slancio di vita e di gioia. Lo straziante abbraccio finale segna il confine tra l’avventura vissuta tra i due e l’impossibilità futura che si possa ripetere. Dopo quel momento ognuno tornerà alla sua vita precedente.

Lost in Translation è un film in cui capiamo che non tutto è comprensibile. Un film da cui impariamo a dar valore ad ogni esperienza, che resta speciale nella sua unicità in grado di sorprendere e meravigliare.

Alcune storie, alcuni rapporti o esperienze, resteranno per sempre indecifrabili. Saranno destinati ad accompagnarci senza una risposta soddisfacente. Lasciandoci quel sapore amaro di rimpianto e malinconia per tutte le cose che potevano essere ma non sono mai state.