9 Novembre 2015 - 13:24

Marco Bellocchio: il pugno in tasca del cinema italiano

Marco Bellocchio nasceva 76 anni fa: accade oggi, nello stesso giorno in cui cadeva fisicamente e simbolicamente il Muro di Berlino. Ed è una coincidenza sintomatica dello spirito che alimenta da sempre il suo cinema

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Marco Bellocchio (Bobbio, 9 novembre 1939) è un regista pluripremiato, sceneggiatore e produttore cinematografico italiano. Il suo cinema è intriso di un raffinato gusto estetico, di tematiche socio-politiche dense, dalla politica sessantottina alle conseguenze degli anni di piombo, dalla follia dei manicomi all’incapacità di amare.

I Pugni in Tasca del 1965

I pugni in tasca del 1965

Un regista formatosi sulla scia del Neorealismo e del “maestro” Antonioni, che nel 1965 esordisce con I pugni in tasca, portando sul grande schermo la frustrazione e l’abiezione dell’educazione borghese, che mina l’equilibrio familiare e alimenta il desiderio dell’annientamento. Un esordio che ha avuto il pieno sostegno della critica, creando grandi aspettative su Marco Bellocchio. L’aurea da grande regista viene riconfermata in Sbatti il mostro in prima pagina del 1972: con la sceneggiatura firmata da Goffredo Fofi, il film rappresenta un lungimirante e disilluso ritratto del giornalismo italiano contemporaneo, dove un Gian Maria Volontè senza remore sfrutta un fatto di cronaca per mistificare il coinvolgimento della Destra nell’attentato di Piazza Fontana. La deriva dei mass-media è un filone ripreso anche in Nel nome del padre (1972) in cui, trasponendo grottescamente ricordi d’infanzia, Marco Bellocchio denuncia la pressione politica sull’informazione e le contraddizioni delle istituzioni educative cattoliche.

I pugni in tasca

I pugni in tasca

La collaborazione con lo psichiatra Massimo Fagioli, il cui sodalizio artistico inizia con Diavolo in corpo (1986), segna alcuni dei suoi più bei lavori, in cui Bellocchio scandaglia l’inconscio come pochi registi: La visione del Sabba (1988), sermone laico sulla caccia alle streghe nel contemporaneo, e l’acuta analisi sullo stupro de La condanna (1991), che ottiene il riconoscimento dell’Orso d’Argento a Berlino.

Buongiorno, notte

Buongiorno, notte

Con Sogni infranti – Ragionamenti e deliri (1995) si rifugia nel genere documentaristico, mettendo a fuoco le disillusioni storico-esistenziali di comunisti, sindacalisti e brigatisti nel contesto post-sessantottino.  Poi riparte da una linea prettamente letteraria, tratta da Pirandello: dopo l’acclamato Enrico IV del 1984 con Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale, il 1999 è l’anno de La balia, con Valeria Bruni Tedeschi e Fabrizio Bentivoglio, in cui l’incapacità di amare viene sviscerata attraverso la follia che il regista ricerca nei suoi personaggi.

Marco Bellocchio: il pugno in tasca del cinema italianoNel 2002 esce L’ora di religione, in cui Marco Bellocchio dirige magistralmente Sergio Castellitto nel ruolo di un pittore diviso tra la sua laicità e le pressioni familiari per la santificazione della madre proposta dal Vaticano. Il 2003 è l’anno dell’intenso Buongiorno, notte sul sequestro Moro: alla cronaca, Marco Bellocchio apporta un punto di vista femminile, quello di una brigatista, interpretata da Maya Sansa, la cui ideologia si intreccia alla ferocia della lotta, finché si comincia ad avvertire un dubbio morale e un avvilimento esistenziale.

E dopo la parentesi nella lista della Rosa nel Pugno, Marco Bellocchio ritorna al cinema scritturando Filippo Timi e Giovanna Mezzogiorno per Vincere del 2009, drammatico racconto sulla vita di Ida Dalser, la prima moglie di Benito Mussolini, reclusa in manicomio fino alla morte per ometterne l’esistenza. È del 2012 la Bella addormentata, sugli ultimi giorni di Eluana Englaro, la cui vicenda rappresenta lo sfondo emozionale di personaggi di fantasia. L’ennesima pagina cinematografica, in cui Marco Bellocchio incalza nel senso della laicità e dell’etica civile, che riecheggia in parte il precedente Sbatti il mostro in prima pagina.

Il 2015 è l’anno di Sangue del mio sangue, in cui Bellocchio ha riunito gli attori ricorrenti Roberto Herlitzka, Lidiya Liberman, Alba Rohrwacher, e il figlio Pier Giorgio. Questo lavoro, l’ultimo in ordine di tempo, è un’autocitazione stilistico-tematica de La visione del Sabba, sull’emblema della figura femminile demonizzata da un sistema patriarcale, palesando l’ennesima critica all’educazione salesiana, espediente biografico.

Un regista che si conferma vigile sulla storia, fedele a se stesso e alla ricerca di ciò che volutamente viene taciuto e occultato, tenace nell’interrogare lo spasimo e l’atroce solitudine del quotidiano, nel sondare l’insondabile.

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