2 Settembre 2016 - 21:38

“Il mastino dei Baskerville”, Arthur Conan Doyle

sherlock holmes

Si narra che Sir Arthur Conan Doyle, papà letterario del celeberrimo Sherlock Holmes, a un certo punto abbia voluto disfarsi della sua creatura

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E questo perché lo scrittore, sempre secondo la vulgata giunta fino a noi, si aspettava la consacrazione del suo talento soprattutto grazie ai romanzi storici, e non certo per il tramite delle opere imperniati sulla figura dell’infallibile investigatore.

Anche sulla scorta di questo rumor dell’epoca, quindi, è probabile che il buon sir Arthur si decise, una volta per tutte, a far precipitare Sherlock Holmes e la sua leggenda dalla cascata del Reichembach, provando gusto a lasciarlo lì, almeno fino a quando le proteste unanimi dei lettori e degli amici non ebbero la meglio, costringendolo a riesumarne il corpo e le gesta letterarie. E sì perché, come dicevamo, sir Arthur Conan Doyle avrebbe voluto de-mitizzare il personaggio che, ormai fu chiaro fin dalla sua prima apparizione nel romanzo Uno studio in rosso (1887), gli sarebbe sicuramente sopravvissuto.

A ben vedere, proprio alla stessa maniera di come, nell’ultima parte della sua vita, il brillante dottor Arthur Conan Doyle avrebbe voluto de-strutturarsi, pronto ad offrire i suoi elementi vitali alla creazione dell’opposto da sé, a quel sir Arthur cioè che, ormai, aveva deciso di sciacquare i panni della medicina nell’acido corrosivo dello spiritualismo.

Ancora una volta, quindi, l’eterno contrasto tra dionisiaco e l’apollineo, con un significativo, senile passaggio, per quanto riguarda il Nostro, dall’uno all’altro.

Sulla falsariga di questa stuzzicante prospettiva, mi piace pensare che lo scrittore abbia voluto, proprio nell’opera Il mastino dei Baskerville (1902), far le prove generali dell’annientamento di Sherlock Holmes, del suo abbandono nelle fumisterie dell’aldilà. E infatti sir Arthur, in questo romanzo, cala il campione del metodo deduttivo capace, ad esempio, di risalire dal colore e dalla consistenza delle macchie su un pantalone ai diversi sobborghi di Londra in grado di causarle, nella landa desolata e tenebrosa che fa da sfondo all’intero romanzo, sulle tracce di una leggenda foriera di lutti.

Sir Charles Baskerville viene trovato morto con “una distorsione facciale pressoché inverosimile”: una paura folle ha stroncato il suo filantropico cuore.

Il dr. Mortimer, amico del nobile defunto, si reca a Baker Street, convinto che solo il famigerato Sherlock Holmes sia in grado di spiegare quel terrore gridato dagli occhi annichiliti di Sir Charles.

L’affidare l’incarico di far luce su quell’insolita morte e il raccontare al detective la sinistra leggenda che da tempo immemore cade come una mannaia sul capo dei Baskerville, è tutt’uno.

Un cane infernale, una fiera crudele e diversa di proporzioni mastodontiche e fluorescente si aggira per la landa, con l’unica missione di fare strame della genia dei Baskerville.

Cosa potrà la mente, il nous adamantino del detective contro il medioevo della ragione che muove il Mastino dell’anatema?

Il Mastino dei Baskerville, Arthur Conan Doyle.

Sherlock Holmes e il fido dr. Watson (il personaggio, quest’ultimo, a cui Sir Arthur Conan Doyle più somiglia, anche fisicamente), sono ingaggiati, quindi, per un’impresa apparentemente impossibile: impedire che l’ultimo discendente dei Baskerville, il volitivo Sir Henry, venga immolato sull’altare della maledizione di famiglia.

Eppure…. Eppure.

Tra scarpe vecchie misteriosamente scomparse, tra ululati alla luna di ghiaccio della landa spettrale; e ancora, tra parentele di sangue che vengono spacciate per legami acquisiti, tra mire ereditarie nascoste nelle somiglianze dei ritratti esposti al maniero, ecco che il caso apparentemente insolvibile si avvia ad una scenografica soluzione.

E sì perché, per quanto fantastica e irrazionale possa sembrare la maledizione dei Baskerville, lo stesso Mastino da Sir Arthur evocato e messo sulle tracce del suo amato-odiato investigatore, dovrà capitolare, e con esso tutto il mistero che porta con sé, al cospetto della implacabile analisi di Sherlock Holmes.

Al termine dell’appassionante lettura del romanzo di Sir Arthur Conan Doyle, non possiamo fare altro che concordare con chi ha affermato che nessun altro eroe letterario ha contribuito come “il segugio di Baker Street” a consolidare l’arte delle detection.

Le illuminazioni dei predecessori anche geniali sono diventate (con Sherlock Holmes, ndr) un agguerrito sistema mentale, una vera e propria teoria che vede nella deduzione e nell’analisi gli strumenti fondamentali: gli indizi più insignificanti, come le unghie di un uomo o le maniche di una giacca, possono condurre alle conclusioni più importanti, alle rivelazioni più inattese e determinanti.

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