19 Marzo 2015 - 11:27

Mi sono rotto il cazzo: fenomenologia di una ribellione

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Mi sono rotto il cazzo: fenomenologia di una ribellione

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Ci sono delle espressioni, delle parole, che se tenute ricoverate al caldo nella cavità pavida e benpensante della laringe, a lungo andare ti ustionano il cervello. E allora diventa un bisogno vitale, prima ancora che etico, scaraventarle fuori, sputarle nel campo insanguinato dall’ennesimo sacrificio.

Manco a dirlo, la vittima sacrificale da immolare sull’altare del così fan tutti, è il futuro. Il mio sicuramente, ma anche il tuo, il nostro.

Expo, Mose, Mafia Capitale, per limitarci al solo 2014. E adesso l’inchiesta che vede indagato Ercole Incalza, il gran boiardo di Stato sopravvissuto a 7 governi di ogni colore (come se la politica, almeno nella stragrande maggioranza dei suoi officianti, avesse un colore diverso da quello della filigrana!) e a 14 inchieste.

Ed ecco allora le fanfare mediatiche pronte a intonare il peana del “Bisogna che la giustizia faccia il suo corso”, de “Il ministro Lupi non è indagato”, de “Il rolex da diecimila euro regalato al figlio del ministro non significa niente”, del “Bisogna essere garantisti…”.

Tu, deputato da quindicimila euro al mese, che accavalli con classe la gamba che ti è servita tante volte a genufletterti davanti al padrone di turno, di’ le stesse cose a Marco, che dopo la Laurea in Medicina con il massimo dei voti, un Master costato l’intero TFR di papà Salvatore, adesso lava i piatti in un pub londinese in attesa dell’elemosina di una chiamata. Oppure dille, ‘ste belle cose, a Marika, il cui unico sogno era quello di sposare Rocco e di avere dei figli…“almeno tre”, mi dice adesso in lacrime, mentre si ritrova con una prece tra le dita, testimone silente della malattia di Rocco che “Costava troppo combatterlo efficacemente”.

Io, per Marco, per Marika… ebbene sì, mi sono rotto il cazzo. Mi sono rotto il cazzo di rivolgermi, per tutelare i miei diritti, a un avvocato che è figlio di un avvocato il cui nonno, principe del foro di Salerno, è l’avvocato che ha donato un’intera aula al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.

Mi sono rotto il cazzo di guardare la scala sociale irrimediabilmente ferma e inaccessibile che non lascia neppure affacciare, all’interno del gabbiotto in cemento armato che tutta la immobilizza, l’occhio del figlio dell’operaio condannato, saecula saeculorum, a sognare di calce e malta cementizia.

E ancora mi sono rotto il cazzo per Assunta che, appena eletta presidente del circolo Culturambiente si è sentita in dovere, lei che ha addirittura fatto parte dell’equipaggio di Greenpeace scagliato lancia in resta contro le baleniere giapponesi, di rifiutare la carica perché suo zio è imputato per abuso edilizio.

La politica, il denaro, lo Stato come comitato d’affari (Marx) ci hanno confinato in un luna park di eterna gioventù, un paese delle meraviglie per cerebrolesi in cui ci fanno credere di avere tutto. Poco importa se il prezzo del biglietto è la dignità che sempre manca quando il lavoro non c’è o, nel caso in cui ci sia, è ipotecata da una feroce precarietà di vita e di sogni.

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Mi sono rotto il cazzo delle Grandi Opere che, lungi dall’apportare benefici alla collettività, si rivelano sistematicamente l’ennesima occasione di guadagno per i soliti noti. E pazienza (dal loro punto di vista) se per soddisfare la fame lupigna di questa o quell’altra cricca, si compie un altro scempio ambientale, magari sventrando la montagna per costruire un’autostrada laddove insiste già una strada sottoutilizzata che copre la stessa tratta. E pazienza ancora (sempre dal loro punto di vista) se per mettere su un carrozzone che vorrebbe insegnarci come mangiare a un paio di tiri di schioppo dalla Terra dei Fuochi e a uno solo dalle mele insufflate con pesticidi di ogni genere, si espropriano terreni coltivati biologicamente o comunque campi che porteranno a vita il marchio infamante del cemento.

Ma vi è di più: mi sono a tal punto rotto il cazzo, che cerco cittadinanza altra. Non ce la faccio più, per intenderci, a compensare il primato europeo dell’Italia come Paese più corrotto con le glorie che furono. Pur riconoscendone la grandezza imperitura infatti, non mi bastano più Dante, Galilei, Garibaldi a sopperire alla cronica, attuale, mancanza di un esempio di vita che sia uno. Non riesco più nemmeno ad accontentarmi delle mirabili opere d’arte disseminate sul suolo italico anche perché, se pure lo facessi, il quinto crollo consecutivo agli scavi di Pompei mi priverebbe pure di quest’ultima consolazione.

In conclusione quindi, mi sono rotto il cazzo. Foss’anche solo perché, per colpa di molte, troppe persone, ho dovuto scrivere ‘sto pezzo ricorrendo a un linguaggio che non avrei (forse) mai utilizzato, o almeno non con questa frequenza, in un contesto ufficiale.

D’altronde, essendo senza dubbio indegno di odiare l’indifferenza di Gramsci, non potendo ricorrere al magnifico Io me ne fotto di Peppino Impastato; e ancora finanche lontano dal “terreno” Vaffanculo di Masini… ebbene io, più umilmente, ma non senza eguale impegno, urlo il mio, e spero anche vostro… mi sono rotto il cazzo.

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