2 Gennaio 2019 - 12:07

Matera salva i “Moschettieri del Re”: la recensione del film

Moschettieri del Re

“Moschettieri del Re”: Matera, con i suoi scenari naturali, salva un film che stenta a decollare. Si ride ma la sensazione dominante è la confusione

Andare a vedere “Moschettieri del Re”, in gran parte girato a Matera, nel giorno in cui la città lucana inizia il suo percorso da Capitale Europea della Cultura ha del suggestivo, dire che Matera salva un film che stenta a decollare, è una constatazione che puoi fare solo con il senno di poi.

La nuova regia di Giovanni Veronesi, prende a prestito i più iconici personaggi creati da Dumas e li catapulta in una nuova missione, a trent’anni dalla loro epopea. Di tempo ne è passato, i nostri se lo sentono tutto addosso: tant’è che più volte nel corso del film si fa riferimento alla loro vecchiaia, alla forza bruta che non è più quella di un tempo, alla memoria che il più delle volte zoppica.

Gli attori

La Regina Anna (un’ovattata Margherita Buy) richiama personalmente a corte i quattro Moschettieri per contrastare le mire del perfido Cardinale Mazzarino (Alessandro Haber) e della sua Milady (l’indecifrabile Giulia Bevilacqua), sullo sfondo del conflitto tra Cattolici e Ugonotti (messo pericolosamente in parallelo con l’odierna questione delle migrazioni clandestine) e il successivo rapimento di un Luigi XIV mai reso così anonimo.

Pierfrancesco Favino presta il volto ad un D’Artagnan che sembra nato dalle ceneri del tipico Capitan Spavento della Commedia dell’Arte: l’uomo oggi è diventato un maialaro che usa la spada solo per difendersi dalle ire dell’ennesimo marito a cui ha rubato la consorte; Rocco Papaleo, che porta sempre più orgogliosamente le sue origini lucane come un vessillo, è Athos che si è consegnato bellamente ai piaceri della carne. Più misurati, ma non per questo meno efficaci, Sergio Rubini (Aramis, barricato in convento perchè oberato dai debiti) e Valerio Mastandrea (Porthos, un alcolista in crisi di istinto omicida).

Per la compagine femminile domina Matilde Gioli nei panni dell’ancella tutta gaffes della Regina, e sorprende Valeria Solarino in un ruolo che abbatte barriere e confini di genere.

E allora?

Il problema di “Moschettieri del Re”, rimane, in definitiva la sceneggiatura: la sensazione è quella di una confusione generale per cui i nostri eroi sono spesso chiamati ad azioni ripetitive. Sembra, in altre parole, che il film sia nato prima, se non quasi esclusivamente dalla necessità di riportare in vita i quattro personaggi e il loro mondo, poco importa se in uno scenario narrativo al più flebile.

L’intenzione di celebrare lo statuto di classico del capolavoro di Dumas, è comunque chiaro nel finale, in cui Veronesi sembra anche voler omaggiare la visionarietà di “Nuovo Cinema Paradiso”.

Citazioni e omaggi

E a proposito di omaggi, il film ne pone in campo un numero considerevole: nella cavalcata iniziale della Regina e dell’Ancella alla ricerca di D’Artagnan, gli occhi della giovane cadono su due Ugonotti crocifissi, che sembrano ricalcare alcune delle pose più suggestive viste in “La Passione di Cristo” di Mel Gibson (questo pure girato nella Città dei Sassi).

Un richiamo alle tradizioni e all’identità materana la saggiamo nella sequenza successiva: le due donne si imbattono nelle figlie di D’Artagnan, le quali asseriscono che il padre “ha fatto cornuto il panettiere” e sono preoccupate della possibilità di restare senza pane; a Matera, sapete, è meglio non fare arrabbiare i panettieri…

“Moschettieri del Re” sembra, a ben vedere, un “Basilicata Coast To Coast” in salsa cappa e spada.

Questa percorrenza tra le due pellicole è resa ancor più suggestiva dal parallelismo tra il personaggio di Max Gazzè nel film che segnò il debutto alla regia di Papaleo nel 2010, ed il servo muto di Lele Vannoli, a cui è legato l’unico momento spiccatamente commovente della pellicola.