16 Aprile 2018 - 15:22

Non so di non sapere, quattordici capitoli per buttare giù dalla cattedra i filosofi

Non so di non sapere

Non so di non sapere, il libro di Tony Brewer che rianima la filosofia e spinge i saggi giù dalla cattedra. Quattordici capitoli di sferzante e (non così tanto) dissacrante ironia

“Un libro di filosofia è diviso in tre parti: la prima è inutile, la seconda è noiosa, la terza è incomprensibile”, così inizia il nono capitolo di “Non so di non sapere”, il libro di Tony Brewer pubblicato con Effequ. E sorprenderebbe (ma neppure troppo) sapere che queste parole sono state pensate e scritte da un professore di filosofia. Non si pensi però che questi quattordici capitoli siano totalmente contro la materia che egli stesso insegna. L’invettiva, se così può esser definita, è contro i dogmi imposti dalla società sui filosofi.

La filosofia che insegna a ragionare, asserisce Brewer, è un mito creato da chi non ha mai studiato la materia o da chi la insegna nonostante non si sia mai impegnato a capirla per davvero. E da qui inizia la sua sistematica opera di “demolizione” della sacralità della materia, sottoponendo all’attenzione dei lettori le citazioni più incoerenti e bizzarre dei più grandi filosofi. Con una serie di battute concise e sarcastiche, Brewer riesce a buttare i grandi saggi giù dalla cattedra.

Nel corso dei suoi quattordici capitoli, l’autore riesce in un’operazione difficilissima: dissacrare e contemporaneamente celebrare la funzione di una filosofia ragionata, che non è studio acritico e accettazione di dogmi imposti dalla scuola. La lettura risulta godibilissima anche per coloro che non conoscono la materia trattata e Brewer suscita una curiosità fresca nei confronti di un sapere solitamente trasmesso agli studenti con la stessa leggerezza con cui un prete si approccia all’omelia della domenica. L’ironia dell’autore è pungente e va dritta al punto.

Lo stile del libro ricorda a tratti quello di De Crescenzo ne “Il caffè sospeso”, attraverso le riflessioni più simili ad uno sfogo quasi isterico di Brewer la filosofia prende vita come se qualcuno avesse soffiato in lei un’anima che le permette di vivere in strada, al bar, nelle case anche di quegli esseri che vivono ma che raramente pensano, come afferma lo stesso autore nel corso dei suoi quattordici capitoli che sono una coltellata lucida e precisa a quello che della materia abbiamo sempre pensato di sapere.

La filosofia fa ridere, come tutte le cose intelligenti che richiedono una riflessione critica e Brewer lo sa, adempiendo così all’unico vero compito di un professore: invogliare le persone a conoscere e non per riuscire a strappare al docente un otto piuttosto che un sette. Con una risata si è sinceri, più seri di quel che si crede, più che mai lucidi, attenti, interessati e interessanti. Nel corso della lettura è semplice sentire il divertimento dell’autore stesso, che è forse la più grande benedizione di queste pagine. Un professore che non si prende troppo sul serio, ma che dà alla filosofia un’importanza ormai inusuale, dotata di vita propria, che praticamente mai passa per i sermoni seriosi destinati agli alunni dei licei. Per manifestare un reale interesse, bisogna porsi domande ed interrogarsi fa ridere. L’affermazione è più seria e lucida di quel che si può pensare. 

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