21 Settembre 2018 - 15:48

Reddito di cittadinanza: il nazionalismo del M5S esce allo scoperto?

Nazionalismo

Il ministro Luigi Di Maio, dopo i commenti del ministro Tria, svela il piano per il reddito di cittadinanza. Un programma degno del nazionalismo

Da quando il Movimento 5 Stelle è salito al Governo, tutti si sono domandati se, effettivamente, il partito costruito da Beppe Grillo non celasse una natura ben più recondita e ben più attinente alla Lega. Oggi, il reggente Luigi Di Maio ha confermato questa ipotesi, tramite le sue dichiarazioni sul reddito di cittadinanza.

In primis, ci sono state le dichiarazioni del ministro Giovanni Tria, che hanno funto come una sorta di amo per le successive parole di Di Maio.
Tria, nello specifico, ha dichiarato: “A questa misura potranno accedere cittadini italiani o dell’Unione Europea, residenti sul territorio nazionale e immigrati a condizione che i Paesi d’origine avessero sottoscritto convenzioni bilaterali di sicurezza sociale con l’Italia.
Un chiaro e proprio segnale di apertura nei confronti di un eventuale aiuto anche agli immigrati che potrebbero averne bisogno.

Le successive parole di Di Maio sul reddito di cittadinanza, però, non hanno lasciato spazio alle conclusioni di Tria. Anzi, hanno svelato un recondito istinto finora ben celato da tutto il Movimento, un istinto che, agli appassionati della storia della politica, potrebbe ricordare il Governo Tambroni del 1960. Il nazionalismo torna a battere.

Abbiamo corretto la proposta di legge anni fa. È singolare che torni in auge una proposta di legge che non prevedeva ancora la platea (per l’assegnazione del reddito). Ma è chiaro che è impossibile, con i flussi migratori irregolari, non restringere la platea e assegnare il reddito di cittadinanza ai cittadini italiani.” ha dichiarato il ministro dello Sviluppo Economico.

Una dichiarazione che riesce a far emergere tutto ciò che era rimasto insito fino ad ora. La vera natura dell’altra forza di Governo è uscita allo scoperto. Finora era rimasta sempre ben nascosta. Una natura che si rivela molto simile a quella leghista, facendo capire il perché della scelta governativa.

Il neo Governo Tambroni e la Prima Repubblica

Da quando il Movimento 5 Stelle è sceso ufficialmente in campo ed è diventato la prima forza politica nazionale, è sempre stata messa in discussione la sua natura ambigua, che l’ha portato prima alle trattative con il PD, poi all’alleanza di Governo con la Lega.

Una mossa che aveva fatto storcere il naso ai più, in quanto aveva trasformato il ruolo del partito fondato da Beppe Grillo in quello di una DC degli anni 2000. Per capire bene questa metamorfosi bisogna risalire a cinquant’anni fa, più precisamente al 1960, anno in cui fu istituito il Governo Tambroni.

Sebbene il caso sia leggermente diverso (la DC, infatti, era al potere effettivo da sola, con il solo appoggio dell’MSI, mentre ora M5S e Lega governano insieme), è impossibile non effettuare il parallelo con uno dei “Governi fiume” della Prima Repubblica. Il primo Governo Frankenstein della storia.

A sorprendere, all’epoca, fu la clamorosa censura di tutti i prodotti culturali “di sinistra” o scandalistici (esemplare fu il caso de La Dolce Vita di Federico Fellini) e i vari provvedimenti a scapito dell’immigrazione. Misure degne del nazionalismo, degne dei regimi. Cosa che, nel bene o nel male, sta ricapitando ben 58 anni dopo.

Il mascheramento del nazionalismo

La mancanza di coerenza da parte del Movimento 5 Stelle è davvero da Prima Repubblica. Finora, infatti, del reddito di cittadinanza si era parlato come una semplice misura di assistenzialismo, volta indifferentemente a tutta Italia, senza fare distinzioni di razza o nazione.

La verità è che, ora, un ministro tecnico, ma di matrice eurodemocratica, come Giovanni Tria si trova messo alle strette dall’ondata nazionalista che la Lega ha contribuito a ravvivare. Il Movimento 5 Stelle, finora, si era sempre professato “innocente”, aveva sempre lasciato correre, stando alla larga da ogni commento riguardante razze, nazioni e quant’altro.

Con le dichiarazioni di oggi, invece, si è segnato finalmente il territorio. Il nazionalismo è ufficialmente tornato a battere in Italia. E lo ha fatto proprio nella stessa maniera in cui lo fece nel 1960, ovvero mascherato da provvedimento sociale, in nome della povertà e dello star vicini alle classi medie.

Bentornato, 1960. Bentornato, nazionalismo. Bentornata, Prima Repubblica. Del resto, lo dice anche la sigla di uno dei partiti di Governo. Siamo Fratelli D’Italia, mica degli extracomunitari.

 

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