25 Novembre 2016 - 17:12

Renzi e quell’insana voglia di personalizzare il Referendum

Renzi

Renzi, dopo il tentativo di “spersonalizzare” il Referendum, torna sui suoi passi annunciando le sue dimissioni in caso di vittoria del NO. Questa decisione, in realtà, non era mai stata messa in discussione per diverse ragioni

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Il termine volubile, nel dizionario della lingua italiana, indica una persona incostante, mutevole, soprattutto nelle decisioni.

La volatilità nell’impostazione, che emerge soprattutto in periodi di “crisi”, è spesso determinata da una forte indecisione nel soggetto in questione che, nell’indifferenza delle proprie  azioni, manifesta, non tanto una debolezza, quanto un “opportunismo” del momento per rimanere “sempre in piedi”.

Renzi

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L’esternazione di questa volatilità è riscontrabile anche ai giorni nostri, con una sorta di “battaglia interiore”, da parte del Segretario/Presidente del Consiglio Matteo Renzi sulla cosiddetta “personalizzazione” del Referendum Costituzionale del 4 dicembre.

Sin dalle prime “battute”, infatti, si è passati da una posizione ad un’altra, tornando poi indietro come se non si fosse detto niente.

Dopo il tentantivo di “spersonalizzazione” della competizione referendaria, datato agosto 2016, il Premier Renzi è tornato sui suoi passi e, rispondendo alle affermazioni di Berlusconi e all’articolo pubblicato sull’Economist, ha “serenamente” dichiarato che, in caso di vittoria del NO, passerà “la campanella con un sorriso e un abbraccio a chiunque”.

Questo ritorno alle origini, che ha da sempre, anche quando si è cercato di cambiare rotta, contraddistinto la campagna per il SI’, mostra un modus operandi che risiede tanto nella strategia politica in sè quanto nella “propaganda referendaria”.

Per quanto riguarda il primo punto, il concetto appare abbastanza semplice: il Ddl Boschi è stato redatto dal Governo, pro(im)posto dal Governo al Parlamento e votato attraverso la questione di fiducia.

Il tentativo di spersonalizzazione, sperimentato dopo le debacle dei mesi precedenti, non è stato possibile non solo perchè la Riforma è strettamente legata a Renzi dal punto di vista politico (in termini di “volontà”) ma anche perchè il promotore di tutto lo “stravolgimento” istituzionale è proprio lo stesso Governo da cui derivano idea, proposta e modalità di voto.

Dal punto di vista “propagandistico”, invece, si può notare un’altra particolare strategia che pone il nulla oltre l’attuale esecutivo.

In sostanza, ponendosi come padre ed unico esecutore del possibile cambiamento attraverso la Riforma Costituzionale, il Governo fissa un limite ben preciso fra chi sarebbe in grado di portare avanti l’Italia con i propri metodi, cioè l’esecutivo stesso, e chi non avrebbe nessuna possibilità di gestire il nostro Paese dopo il 4 dicembre.

A ciò, inoltre, si lega anche l’antico dubbio, di “calamandreiana” memoria, secondo cui un Governo che pro(im)pone una Riforma Costituzionale, inevitabilmente avvantaggia sè stesso e, quindi, inevitabilmente è impossibilitato dallo “scrollarsi” quell’alone di “personalismo” che lo lega alle ragioni per cui debba essere confermata una sua proposta.

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