31 Ottobre 2019 - 17:29

7° Arte #42 The Shining – La semiotica del labirinto

the shining

Film capolavoro dell’horror del 1980, The Shining è diretto da Stanley Kubrick, tratto dall’omonimo romanzo del celebre Stephen King. La pellicola è una delle più apprezzate e famose del panorama cinematografico e non solo

Quando il 31 ottobre 2019 esce nelle sale Doctor Sleep, diretto da Mike Flanagan, è bene tornare indietro di “giusto” 39 anni. Perché la pellicola del regista degli ottimi Il Gioco di Gerald e della serie tv distribuita su Netflix The Haunting of Hill House forse avrebbe molte meno aspettative se non fosse un seguito diretto di The Shining.

The Shining è il film che porta alla luce i thriller di Stephen King

Proprio il film di Stanley Kubrick, riproposto in una versione estesa gli scorsi 20 e 21 ottobre al cinema, è la pellicola che andiamo ad analizzare nella nostra rubrica sulla settima arte. The Shining è un film horror tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King, uno degli autori di maggior fama mondiale. Proprio grazie alla trasposizione – giudicata infedele dallo stesso King – di Kubrick, la letteratura che sino al 1980 era considerata tiepidamente dalla critica nei confronti di King, diverrà la più trasposta sul grande schermo.

Ma più dei meriti letterari di Stephen King, è a Stanley Kubrick che vanno gli elogi del successo di un film come The Shining. Un film che trovate scritto a fianco la voce “horror” di un qualsiasi dizionario cinematografico e non solo. The Shining è un film altamente disturbante e spaventoso, terribilmente magnifico dal punto di vista artistico, spietato e crudele nei colori e nei jump-scare.

La semiotica del labirinto di Kubrick

Kubrick confeziona un’altra grande opera da consegnare alla storia del cinema. Dopo il viaggio spaziale e temporale di 2001 Odissea nello Spazio ecco l’artista americano cimentare in un viaggio all’interno della psiche umana. Una strada tortuosa già brillantemente esposta in un lungimirante Arancia Meccanica, stavolta in The Shining posta come un labirinto, vera simbologia della pellicola.

Perché The Shining non è solo l’iconica Wendy Cara che grida con un coltello in mano mentre il marito, Jack Torrance, interpretato da un immenso Jack Nicholson (che replica, se non migliora, l’ottima performance di Qualcuno volò sul nido del cuculo). Un marito che esce fuori di testa e traspare pazzia semplicemente restando fermo, facendo parlare gli occhi, interagendo con un passato ricco di tormenti e un immaginario utopico.

Jack Torrance è alla caccia del figlio Danny, un bambino dotato di superpoteri noti come la luccicanza. Un saper vedere oltre, portando alla luce tenebrosi retroscena malvagi dei luoghi e delle persone. Quella caccia che riempie le scene finali del capolavoro The Shining è un’immagine che contrappone la chiusura mentale degli adulti nei confronti della voglia di vivere dei bambini. Due elementi che dovrebbero scambiarsi, dovrebbero essere gli adulti a saper apprezzare l’esistenza mentre gli infanti dovrebbero rinchiudersi nelle fantasie. In The Shining Kubrick riesce a rivoluzionare questo concetto, attraverso un inseguimento all’interno di un labirinto dal quale il bambino inesperto è capace di uscire come se fosse un gioco, mentre l’adulto ne rimane intrappolato, freddato dai propri tormenti e fallimenti.

L’enorme simbolismo del labirinto verrà ripreso in ulteriori film, uno tra tutti l’apprezzatissimo Il labrinto del fauno di Giullermo del Toro.

L’horror tra sangue e folle cattiveria

Il film The Shining ricevette immediatamente i favori di critica e pubblico, diventando uno dei film più lucrativi del 1980. Gli anni ’80 esordiscono nella nostra rubrica che ripercorre la storia del cinema con una delle pellicole più importanti del palcoscenico mondiale cinematografico. Il decennio degli anni ’80 è ancora oggi uno dei più rimpianti e amati di sempre, capace di segnare con eventi e creazioni artistiche il mondo come oggi lo conosciamo.

Kubrick, parallelamente, si piazza come uno dei registi più importanti e influenti di sempre. Capace di cambiare genere come paia di scarpe, il cineasta americano offre un’altra pellicola che riflette e fa riflettere, arricchita da un finale vago e abbondantemente interpretativo.

Ne è passato di tempo dal non riconosciuto Spartacus e nonostante Barry Lyndon non riuscì a imporsi nella cultura collettiva come le sue altre pellicole, solo il tempo darà giustizia al regista che ci ha lasciato nel marzo del 1999. Un regista che ritroveremo sempre all’interno degli anni ’80 con un altro film tra più importanti della storia del cinema, ancora una volta con un Kubrick alle prese con un nuovo genere: il war-movie ineluttabilmente influenzato da Apocalypse Now.

Perché non si può conoscere il cinema fin quando non si studia Kubrick

Ancor più di una storia ricca di simboli e tensioni, The Shining è stata tra le prime pellicole mondiali (insieme ad alcune scene di Rocky) a utilizzare la steadicam. Tale supporto meccanico permette alla macchina da presa di compiere nuovi movimenti, in The Shining il regista spesso segue i suoi personaggi, inquadrati dalle spalle (famosissime le scene del piccolo Danny in giro per l’albergo col suo triciclo) e talvolta li anticipa.

D’altro canto, la fotografia del film di Kubrick è probabilmente la componente artistica più ricercata e spettacolare della pellicola, capace di sfruttare tutti i colori nelle diverse scene, come il flusso di sangue nella visione lungimirante di Danny. Il tutto coadiuvato dall’immortale perfezione simmetrica del regista Kubrick che regala quadri travestiti da fotogrammi.