29 Marzo 2018 - 19:03

I, Tonya: la recensione del nuovo film di Craig Gillespie con Margot Robbie

Tonya

I, Tonya: la recensione del film rivelazione al Toronto Film Festival con Margot Robbie, del regista di “Lars e una ragazza tutta sua” Craig Gillespie

Trama del film I, Tonya di Craig Gillespie

Tonya Harding fu la prima atleta americana ad eccellere ai campionati nazionali statunitensi, dove eseguì il suo primo triplo axel. Ma dietro i successi sportivi si nasconde una vita personale difficile, dal rapporto con la madre opprimente e il travagliato matrimonio con Jeff Gillooly.

Nel 1994 il mondo del pattinaggio su ghiaccio venne sconvolto dal brutale attacco ai danni della promessa del pattinaggio Nancy Kerrigan. L’atleta venne colpita alla gambe da uno sconosciuto, che la costrinse a ritirarsi dai campionati nazionali. In seguito si scoprì che la Harding, d’accordo con il marito, pagò l’uomo per aggredire e mettere fuori gioco la rivale.

Quando Craig Gillespie portò al cinema Ryan Gosling protagonista di “Lars e una ragazza tutta sua” (2006), l’accoglienza fu tiepida per alcuni, per altri si trattò di un film incompiuto, per molti di una black comedy opera prima ingenua.

In realtà, tutto quello che Gillespie disse ai tempi in maniera più sottocutanea, non del tutto illuminata, in I, Tonya trova una luce, un virtuosismo, una dimestichezza che lascia a bocca aperta.

I, Tonya è il racconto della vita di una delle pattinatrici più famose della storia americana. Visto da lontano sembrerebbe quasi un biopic vicino al Paese che racconta. Vicino perché (lo si crede all’inizio), sembra non fare completamente i conti con il proprio continente, accostandosi al cinema di David O’Russell, padroneggiando temi sorpassati come il sogno americano e il divinismo quasi ellenistico eretto a bandiera di un paese di destra. Visto a metà strada sembrerebbe avere tracce e fare il verso al documentario, quando invece molto più da vicino è un mockumentary nel quale eventi fittizi e di fantasia sono presentati come reali attraverso l’artificio della mdp.

Ma I, Tonya visto senza aspettarsi un’identità di genere, è un film che spiazza e spezza tutti i confini con il cinema. Sembrerebbe (nel primo tempo) un falso film controcorrente, sembrerebbe nel secondo tempo un’opera sull’epica famigliare che strizza l’occhio al miglior Scorsese. Gioca con i formati che anche al più virtuoso Xavier Dolan verrebbe la nausea. I, Tonya può essere definibile come una “giostra cinematografica” alla stregua di “American Hustle”.

Ma “I, Tonya” è un’opera che non abbassa mai lo sguardo, come non l’abbassa mai il regista dall’amarezza e dalla solitudine. Non concede per nulla un happy end entusiasmato. Anzi, lo abortisce, come strozza le aspettative e la catarsi di un’esistenza in divenire.

“I, Tonya” è un film sulla Verità trasversalmente opposto al sensazionalismo della sua bandiera. Sulla ricerca schizofrenica di un dialogo con l’osservatore. Un’opera che mette in gioco la “posizione etica” di chi vuole raccontare, la soggettività e l’alienazione della meta narrazione e della comunicazione.

Ci dice soprattutto, dove è arrivato il cinema, qual è la sua omologazione e qual è la sua punizione. Racconta fin dall’inizio la storia di una donna, di una figlia, di una moglie, prima di tutto che di una passione e di uno sport, perché il pattinaggio a Gillespie non interessa. Gli interessano invece, riflettori che si spengono e si accendo sull’individualità.

Racconta di un marito manesco (o forse no?), di una figlia sconfitta e senza una vera maternità (o forse no?), di una madre sacrificata per un amore, ma che l’amore l’ha concesso sacrificando il suo cordone di affetti e di comprensione (o forse no?).

Racconta di perdenti che aspirano ad un ruolo di un Paese che li ha dimenticati, reclusi solo alla perdizione e alla risibilità. Cannibali in vetrina, “freaks” bidimensionali nel vuoto della notorietà.

Margot Robbie, ricerca sempre la sua violenza, una violenza che clona celebrità tese alla grazia, “sgraziando” su un ring la sua posa da stella di Hollywood, crogiolata com’è nelle menzogne, scaricando responsabilità che sono sempre di altri come la Jasmine di Woody Allen.

I, Tonya ci dice dove sono finiti i sogni annacquati dall’illusione e dal disincanto, non ricerca niente di nuovo nello sguardo della mdp, ma crea un forte conflitto su cosa siamo destinati a guardare e a credere. Un’inquadratura ormai collassata, dove i mostri sono i due combattenti che hanno in palio la verità: lo schermo e lo spettatore.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *