Un immenso tesoro sminuito: il Museo Archeologico
Un immenso tesoro sminuito: il Museo Archeologico – Viaggio nello scrigno archeologico del capoluogo campano
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In tempi in cui si parla, nel bene e nel male, del Museo Archeologico Nazionale di Napoli solamente per il nuovo discusso direttore, Paolo Giulierini, un etruscologo toscano, in molti, forse troppi, oltrepassano pigramente l’ex caserma della cavalleria borbonica senza sospettare la grandezza che si cela al suo interno. Una grandezza che, per la natura stessa del luogo in cui è custodita, dovrebbe essere mostrata e valorizzata, ma che di fatti è in parte celata, colpevolmente taciuta, dimenticata e sminuita dalle stesse genti che pure discendono da coloro che crearono tale grandezza e bellezza. Non che il Museo cada a pezzi o che vi sia anarchia totale nell’attuale gestione, ciononostante, si potrebbe fare ancora di più per un museo di 12.650 mq, un Museo che, con maggiori fondi ed una pubblicità capillare, potrebbe senz’altro costituire uno dei musei più importanti d’Europa. Oggi, invece, è appena al quindicesimo posto fra i musei più visitati d’Italia.
La facciata del Museo, dai toni rosati e attraversata da un grigio elegante, ricorda moltissimi edifici napoletani, eppure, non lascia impressionati, mentre molto più interessante è la storia della sua ristrutturazione. Il Museo nacque nel XVIII secolo durante il periodo borbonico, dalla fusione del Museo Farnesiano e quello Hercolanese. I lavori di ristrutturazione, compresi la costruzione dello scalone monumentale, furono affidati al celebre Ferdinando Fuga. Dopo l’unità d’Italia l’architetto Giovanni Riegler propose di costruire un parco pubblico tra il Museo e piazza Dante. Questo scenografico spazio verde avrebbe abbellito ulteriormente il Museo e avrebbe costituito un altro polmone verde della città partenopea. Tuttavia, il parco non fu mai realizzato e al suo posto si costruirono dei palazzi. Il Museo fu definitivamente completato nel 1920, ma già nel 1930 era danneggiato a causa di un terremoto. Per fortuna, anche grazie ad un vistoso segno sul tetto che lo individuava come un obiettivo da non colpire, il palazzo e le sue collezioni furono risparmiati dai massicci bombardamenti della seconda guerra mondiale.
La caratteristica pregevole di questo Museo è che pur essendo un museo adibito essenzialmente a custodire i reperti pompeiani e vesuviani, non si esaurisce in questo, ma anzi, pretende di raccontare la storia di tutta la regione e in parte del Lazio, compreso l’influsso culturale egiziano. La collezione egizia, custodita nel piano seminterrato, è inferiore per importanza solo a quella torinese e, dal punto di vista cronologico, è la più antica d’Italia. La collezione Borgia, il nucleo primario di tale collezione, dimostra la curiosità europea per tale cultura in un periodo addirittura antecedente alla spedizione napoleonica. In questa sala non vi sono solo lugubri mummie e vasi canopi, ma anche gioielli pressoché intatti, spesso ricavati da lapislazzuli o altre pietre verdi e blu.
Ancora più interessante, invece, sono i vari piani che ospitano i reperti romani, reperti che ci fanno intuire, più di tanti libri, i vari aspetti della vita quotidiana romana: dalla religione alla medicina, dalle suppellettili usate nelle case (vasi, bicchieri, pentole e colini traforati con disegni geometrici per filtrare il vino) alle decorazioni parietali, in molti casi vere e proprie opere d’arte ad uso meramente privato. Come definire altrimenti opere come la famosa Battaglia di Isso di Alessandro Magno contro Dario? Pur essendo danneggiato in più punti, il mosaico di eccezionale valore storico, ritrovato nella casa del Fauno, è uno dei più suggestivi del museo e riproduce anche la testa di Bucefalo. L’opera è particolare anche perché le tessere sono solo di quattro colori e sono disposte in modo asimmetrico, in base al cosiddetto opus vermiculatum. Oltre al mosaico di Alessandro vi sono numerosi mosaici che ritraggono nature morte o animali, raffigurati con estrema dovizia di particolari o abbozzati in modo molto moderno, quasi a ricordare cartoni giapponesi. Ritornando alle altre peculiarità del Museo, colpisce il fatto che in una sola visita si passi dal sacro delle solenni statue delle divinità (dalla maestosa Athena Promachos al colossale Apollo seduto) al profano dai toni piccanti del Gabinetto segreto, con i tanto chiacchierati affreschi dei lupanare pompeiani, che ci ricordano che i romani non avevano nulla da imparare dal Kamasutra indiano, e le bizzarre ed oscene campane a vento, un unicum nell’artigianato romano e forse mondiale.
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