8 Dicembre 2017 - 09:45

Vittima che si sente colpevole, cosa succede nella mente della donna

13 figli incatenati

Che cosa succede nella mente di una donna vittima violenza? Il caso della giovanissima Emily, che credeva di meritare le botte del fidanzato e che, alla fine, si è uccisa

Vittima di violenza che si sente colpevole, per cui crede di meritarsela. A questo sono ridotte quelle donne che pensano di essere la causa del livore dei loro padri, mariti o fidanzati. Questo è ciò che è accaduto per la giovanissima Emily Drouet, di appena 18 anni, che veniva continuamente picchiata dal suo ragazzo.

I suoi messaggi scambiati con le amiche sono stati pubblicamente affissi nell’ateneo di Aberdeen, in Scozia, dove studiava ed anche in altri. La madre ne ha dato autorizzazione per mostrare la pericolosità di un simile meccanismo. Infatti in quei testi da brivido si legge “Merito le botte, è colpa mia. L’ho fatto arrabbiare”.

L’epilogo di questa ragazza però è triste in quanto, non riuscendo più a reggere la situazione e sentendosi pressata da lui, si è suicidata.

Il meccanismo della violenza

Che cosa accade nella mente di una donna quando subisce violenza? Secondo la cultura maschilista i motivi per meritarsela sarebbero i più disparati. L’escalation del degrado è direttamente proporzionale ai desideri, alle volontà ed alle parole, che la qualificherebbero come “una che parla troppo”, “che deve stare al posto suo” fino ai categorici “la mia ragazza deve uscire solo con me” e “se metti la minigonna mi manchi di rispetto”.

Ed è così che una ragazzina come Emily comincia a vedere il fidanzato come unico detentore, in grado di decidere per la sua libertà e la sua vita, in diritto di darle uno schiaffo se disobbedisce ai suoi ordini. La vittima entra in una spirale perversa in cui la sua autostima è annullata, fa suo il dolo per qualsiasi manchevolezza, giustificando tutto pur di non perdere l’uomo verso il quale, ormai, ha sviluppato una forte dipendenza.

Più ti picchia, più ti ama

È questa diseducazione affettiva a convincerla che più viene presa a calci e più è amata, più chiede qualcosa per sé e più sbaglia. Meno esiste e più lui è contento. Bisogna che tutte le donne si sveglino da questa narcosi di inadeguatezza e rassegnazione alle violenze fisiche e psicologiche, perché i loro silenzi non fanno che proteggere chi le distrugge.

La possessività di certi uomini, che fanno passare le proprie manifestazioni di collera come amore, è acuita dallo stereotipo di genere della donna accudente e remissiva. E ciò avviene perché lui non accetta che una donna abbia una propria autonomia decisionale, ma deve vivere in funzione delle sue richieste e bisogni.

“Ma come puoi…?”

Le violenze, spesso perpetrate fra le mura domestiche, vengono taciute per paura di ritorsioni e, soprattutto, per il senso di colpa instillato a causa della sensazione di tradire quel legame. Addirittura la vittima crede di essersi inventata tutto, di aver frainteso, magari influenzata da qualche familiare che cerca di dissuaderla a denunciare, dicendole “Come puoi denunciare tuo padre? Come puoi insinuare che chi ti ama ti stia facendo del male?”

E come può una ragazzina credere di essersi meritata quelle sofferenze e, come in questo caso, addirittura la morte?

 

 

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