3 Novembre 2017 - 15:42

Centro Antiviolenza “Le Porte di Frida”, il racconto di Stefania Fanelli

centro antiviolenza

Lo scorso 17 ottobre il Centro Antiviolenza “Le Porte di Frida” è stato distrutto per mano di vandali. Stefania Fanelli, vicepresidente dell’Associazione “Frida Khalo- La Città delle Pari Opportunità”, ci ha rilasciato una nuova intervista di denuncia

Nella notte tra il 16 e 17 ottobre scorso il Centro Antiviolenza Frida Khalo è stato raso al suolo ad opera di vandali. Le volontarie hanno appreso della distruzione dello stabile solo il mattino successivo, quando hanno fatto il loro ingresso ed hanno trovato devastazione e, soprattutto, minacce simboliche rivolte alle attiviste.

Stefania Fanelli, vicepresidente dell’Associazione “Frida Khalo- La Città delle Pari Opportunità” ha voluto raccontare tutto, come una sorta di denuncia, perchè il silenzio è complice.

L’intervista all’attivista del Centro Antiviolenza

Qual è il tipo di supporto che offre il Centro Antiviolenza Frida Khalo alla provincia di Napoli?

Lo Sportello antiviolenza “Le porte di Frida” accoglie donne vittime di violenza e discriminazioni. Offriamo gratuitamente supporto psicologico e legale, compreso sostegno psicologico per i minori. Abbiamo avviato anche una rete di collaborazione con una casa rifugio e con un centro di violenza in comuni limitrofi. 

Com’è avvenuta la scoperta di questo scempio?

Lo sportello era gia stato vandalizzato più volte negli anni, ma siamo sempre riuscite a ripristinare quello spazio con le nostre forze. Più che altro trovavamo cartoni di pizza, bottiglie di birra, mazzi di carte. Il penultimo raid invece già l’anno scorso ha assunto messaggi diversi: chiodi in faccia sulle foto con i nostri volti, bamboline sgozzate, scritte con pseudonimi sui muri e sui muri della scuola di fronte la scritta ” Camaldoli Regna”‘.

Dopo quindi la denuncia ai Carabinieri abbiamo chiesto al Comune, perché trattasi di locali di proprietà dell’ente il ripristino dello stato dei luoghi e la messa in sicurezza definitiva. Eravamo in attesa di una nuova convenzione con un progetto di ampio respiro per il territorio.

Lo scenario che però ci siamo trovate questa volta, quando ci siamo recate per prendere una parte dei libri della nostra Biblioteca di Genere, è stato devastante, agghiacciante .

Siamo scoppiate a piangere. Tutto completamente distrutto, ivi compreso la biblioteca ridotta in mille pezzi e la porta di ferro violentemente sradicata. I servizi igienici completamente colmi di feci. Ma la cosa più atroce ci hanno fatto trovare un gatto morto. Oltre alla barbarie umana di aver ucciso un essere vivente ma il gatto è un messaggio chiaro. Simboleggia la donna. Le donne che hanno frequentato il nostro sportello non si sono lasciate intimorire e hanno anche partecipato alla nostra iniziativa di mobilitazione.

Un centro come questo può diventare una sorta di rifugio, dove chi subisce violenza riceve aiuto e protezione. Le donne che si rivolgono a voi come hanno preso la notizia dello sfascio di questi locali?

Il nostro spazio è al momento uno sportello antiviolenza gestito a titolo di volontariato e non può essere una casa rifugio, anche se ne ha tutti i requisiti e noi speriamo che presto lo possa diventare, ma ci sono troppi impedimenti legati alla legge regionale per i centri antiviolenza.

Per poter sostenere concretamente le donne però abbiamo avviato una rete con altre strutture nei comuni limitrofi con Casa Karabà, gestita dalla Cooperativa Dedalus che accoglie donne e minori e Terra viva. La rete sui territori è condizione essenziale per sostenere le donne vittime di violenza, dalla denuncia fino all’intero percorso.

Secondo lei qual è il messaggio che questi vandali, attraverso la distruzione della vostra sede, hanno voluto mandarvi?

Lo sportello è dedicato a due donne del territorio uccise per mano dei loro compagni: Fiorinda Di Marino, un’insegnante della scuola sottostante ed Enzina Cappuccio, una donna disabile uccisa a calci e pugni.

Lo sportello “Le porte di Frida” è stato negli anni uno spazio sociale a disposizione del territorio per creare un luogo di aggregazione sociale e culturale. Uno spazio in cui le donne si incontravano e si raccontavano. Abbiamo realizzato una biblioteca popolare di genere per diffondere una cultura di genere.

La nostra è da sempre una battaglia culturale ed è per questo che abbiamo creato un nostro canale Youtube, per lanciare campagne di informazione e sensibilizzazione, come quella realizzata nelle ultime settimane contro gli stereotipi sulla violenza sessuale

Abbiamo promosso laboratorio di autoscritturra “Righe rosa, laboratori di lettura”, inteventi e progetti nelle scuole, come “Sentimenti sul banco” e “ABC delle emozioni” per promuovere l’educazione sentimentale nelle scuole.

Insomma in quel luogo di periferia, nella periferia in cui è forte ancora una culturale maschilista e patriarcale abbiamo creato aggregazione con le mamme del territorio. Spesso abbiamo collaborato con loro. Mi viene in mente quando le mamme dei bimbi ci chiesero una mano per terminare un murales sulla scuola iniziato proprio da Fiorinda di Marino, l’insegnante uccisa a cui abbiamo dedicato lo sportello.

In questo vero e proprio atto intimidatorio il messaggio è chiaro: si vuole mettere a tacere ogni forma di risveglio culturale e sociale, ogni forma di sostegno alle donne che le possa rendere libere di scegliere. 

Alla luce degli sconcertanti fatti di cronaca e violenza, dell’immobilismo del Governo che non tutela le donne e dell’oltraggio che vi è stato rivolto, cosa direbbe a chi fa ostracismo alle vostre battaglie?

La politica fa ancora troppo poco per contrastare la violenza sulle donne. La cabina di regia messa in piedi dalla ministra Boschi non serve a nulla se si continuano a tagliare i fondi e a definanziare i centri antiviolenza.

Troppi centri sono costretti a chiudere perché legati a bandi territoriali che non vanno oltre l’anno. E soprattutto non si comprende davvero perché c’è tanto sommerso. Le donne non denunciano perché è troppo complicato allontanare dalla dimora l’uomo violento e la donna che denuncia non può ritornare dal suo carnefice.

Le Forze dell’Ordine non seguono una linea unica, molto dipende dalla sensibilità di questo o quel commissario o maresciallo che sia. La cronaca ci dice che sono troppo le denunce rimaste inascoltate. Inoltre la donna per essere libera di denunciare la si deve rendere autonoma dal punto di vista economico.

Dopo la denuncia la donna deve essere inserita in percorso lavorativo e sociali, questi tra i nostri punti salienti della nostra campagna 10.000 cartoline da firmare “Impara ad amare, l’amore non uccide”.

A proposito di questo il governo, il Parlamento ancora non fa nulla sul piano della prevenzione. La nostra campagna è stata lanciata per chiedere alle più alte cariche dello stato la discussione e quindi l’approvazione del disegno di Legge di Celeste Costantino, affinché si introduca nei programmi scolastici l’educazione sentimentale come strumento di prevenzione alla violenza di genere, omofobia e bullismo.

Educare all’attività per insegnare ai ragazzi come gestire le proprie emozioni. Questo è sancito anche dall’art. 14 della Convenzione di Instambul, ratificata dal Parlamento Italiano ma mai applicata. Infatti il disegno di legge della Costantino giace da lunghissimo tempo in commissione cultura al parlamento.

Nelle prossime settimane consegneremo finalmente le 10.000 firme raccolte alla presidente Laura Boldrini, che è gia a conoscenza della nostra iniziativa. A quanti hanno provato a fermarci diciamo che quanto è successo ha messo in moto una meraviglia “sommossa popolare”, una grande rete di solidarietà anche di associazioni e singoli che hanno dichiarato la volontà a promuovere una raccolta fondi #PiùFortiDiPrima.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *