Affinità e divergenze fra il “compagno” D’Alema e l'”amico” Renzi
Lo scontro tra D’Alema e Renzi evidenzia, più che il confronto tra generazioni, la lotta per la “gestione” del partito (e dell’Italia). Ripercorrendo la storia, però, è possibile notare un’ampia gamma di affinità tra i due da far credere ad un modus operandi tipico dell’area di centro-sinistra
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Una delle maggiori teorie di Eraclito è quella del Panta rei (tutto scorre), in cui il filosofo greco affronta il tema del divenire.
In questa tesi si afferma che l’uomo non può mai fare la stessa esperienza per due volte dato che è sottoposto alla legge inesorabile del mutamento.
L’idea di Eraclito, però, può essere facilmente smentita facendo riferimento all’attuale “scontro generazionale” che ha investito, ormai da qualche settimana, il Partito Democratico italiano.
La sfida fra l’attuale segretario/premier Renzi e l’ex segretario/premier D’Alema ha ufficialmente inaugurato la stagione pre congressuale dei “democrats” nostrani.
Dopo le accuse sulla politica intrapresa, tanto a livello comunale quanto nazionale, e la presa di posizione sul referendum confermativo di ottobre (in cui l’ex Presidente del Consiglio si è schierato con il no), il “leader Massimo”, dagli studi di Ballarò, ha ulteriormente acceso il dibattito fra le due principali “fazioni” del Pd.
Nel suo nuovo affondo, D’Alema, considerando il dualismo gestione partitica/gestione politica, ha evidenziato sia i caratteri negativi della nuova Riforma del Senato che del doppio incarico di Segretario e Presidente del Consiglio.
Al di là della questione tecnico/politica inerente la riforma, nelle rimostranze di D’Alema nei confronti di Renzi è possibile ritrovare la confutazione del pensiero eracliteo del Panta Rei, osservando il modus operandi dei due, che smentisce, inesorabilmente, la teoria del mutamento.
Considerando i trascorsi nella “giungla politica italiana” dei protagonisti è possibile rilevare talmente tante affinità fra Renzi e D’Alema da far impallidire il pensatore di Efeso.
Con un occhio al periodo post-tangentopoli ed uno ai giorni nostri, si può constatare come i due si siano ritrovati a portare avanti le medesime azioni e le medesime strategie che, in pratica, esplicitano una peculiarità, tanto di azione quanto di “gestione”,di quell’area di centro-sinistra (divenuta negli anni l’attuale Pd) autodefinitasi “riformista” ma a tutti gli effetti “conformista”.
“Presa del potere” ai danni di alleati di “area” (o di partito per quanto riguarda Renzi), alleanza con il centro-destra e tentativo beffardo di portare avanti una riforma costituzionale a dir poco particolare, sono solamente alcuni punti che, inequivocabilmente, uniscono quanto più i due leader del centro-sinistra.
La sfida di questi giorni, quindi, può essere considerata, più che uno “scontro” fra punti di vista, una vera e propria “guerra” sulla guida del partito di maggioranza relativa che, al netto della medesima politica portata avanti, si è distinta solamente per il periodo storico in cui si è protratta.
In sintesi, ciò che la minoranza dem (identificata come il “vecchio” partito) contesta alla maggioranza (il nuovo o pseudo tale) non è tanto il modo di “condurre” quanto il fatto che non sia lei a fare ciò che, maldestramente, Renzi&co stanno facendo attualmente (ciò è dimostrato anche dall’annunciata, ma mai realmente portata avanti, contrapposizione a determinate scelte).
Le mancanze, tanto dell’Italia quanto dell’intero sistema politico, sono da ritrovare, quindi, in un passato che ha generato tutto ciò che ora è portato all’esasperazione e che difficilmente potrà “rottamare” un atteggiamento intrinseco nel DNA del centro-sinistra italiano.
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