18 Luglio 2019 - 17:47

A bordo dei kayaks nella riserva marina di Punta Licosa

punta licosa

A fior d’acqua con il vento in poppa, a bordo dei nostri kayak andiamo “avanti tutta”! Da San marco fino a Ogliastro Marina, pagaiamo seguendo la rotta di Punta Licosa, tra porti e riserve, tra nuvole e mare

Punta Licosa – “Arrivarono a un monte di nome Teche. Quando i primi fra i greci raggiunsero la cima, e da lì videro il mare, esplosero in grida immense: Thalatta! Thalatta! Il mare! Il mare!” Nell’Anabasi di Senofonte si narra di una spedizione nell’entroterra di diecimila mercenari greci che, nel viaggio di ritorno verso la terra madre Grecia, scoprono di essere finalmente arrivati “a casa” quando, salendo sulla sommità del monte Teche, scoprono il mare. L’esclamazione e le grida di gioia dei primi soldati che fanno quella scoperta cancella mesi di fatiche, di pericoli, di fame e di stenti subiti durante la battaglia.

Il mare azzera ogni sofferenza e ci riporta a un’immediata felicità, oggi come un tempo.

In fondo “di fronte al mare la felicità è un’idea semplice” scriveva Jean-Claude Izzo, forse perché lasciare per un po’ la terraferma ci fa alzare finalmente con i piedi da terra, quando abbassiamo le difese e le troppe pretese e ci riportiamo in quel dondolìo a cui tutti, prima di ogni dove, siamo stati abituati.

Il mare è bellezza, magnificenza, enigma, seducente richiamo, eterno movimento.

Non a caso Afrodite, dea dell’amore e della bellezza, sembra sia nata emergendo dalla spuma del mare, all’interno di una conchiglia di madreperla nell’isola greca di Citera.

Non a caso Ulisse dovrà attraversare i mari per dieci anni, navigando in lungo e in largo, prima di poter giungere alla sua isola e conquistare la libertà e la conoscenza.

Gli antichi Greci quasi mai s’insediavano a più di quaranta chilometri dal mare, ossia una giornata di cammino, e i viaggi per mare erano intimamente legati al senso della loro identità.

Esiste una parola in greco, nostra lingua madre, Anòixis, sopravvissuta nel linguaggio moderno, che può indicare sia il momento in cui una nave naviga in lontananza e segue la sua rotta in mare aperto, sia il momento in cui la mente umana afferra e comprende pienamente per la prima volta un’idea.

“Andare per mare” allora diventa il gioco di una nuova consapevolezza, quella di noi stessi e della bellezza di ciò che stiamo vivendo oggi.

Diveniamo così novelli Ulisse nel mare del Cilento, quello blu che profuma di iodio e di salsedine, dell’inconfondibile aroma delle erbe selvatiche e dei pini d’Aleppo danzanti – quelli venuti da Oriente – che grazie al vento che li pettina arriva fino alle nostre narici.

Partiamo dal porticciolo di San Marco, con giubbotti e spugne, scarpe da scoglio e sacchi stagni. Il mare leggermente mosso ci seduce e il richiamo dell’acqua diventa un rito collettivo: ci mettiamo comodi uno a uno nei nostri kayak e con una poderosa spinta siamo protesi verso il largo.

Non ci resta che puntare la prua e pagaiare insieme verso la riserva marina di Punta Licosa.

Non abbiamo nodi da sciogliere e vele da spiegare. Nessun motore a bordo che farà rumore. Siamo a pelo di mare con il vento in faccia. I fondali cilentani sono a un passo dal nostro naso e noi abbiamo un po’ gli occhi bassi e un po’ lo sguardo al cielo.

Pagaiamo tra le nuvole e il mare, tra il cielo plumbeo e le onde d’argento.

Il mare vissuto dal kayak è diverso da quello vissuto da una barca: sul kayak non si è lontano dall’acqua, si sta come “dentro” ma protetti da una sorta di gavone stagno. Il kayak è sul mare come la bike è sulla terra: si sfiora la superficie e ci sembra di volare a fior d’onde.

Ed eccola la sirena Leucosia, adagiata sui suoi fondali rocciosi, impervi di numerose cavità e spaccature, che sono rifugio da diversi organismi animali e vegetali. Siamo immersi in una riserva marina mondiale di biosfera, dove sotto l’evidenza del suo faro e delle sue rocce bianche si nasconde tutto un invisibile mondo.

Punta Licosa è l’estremità che chiude a sud il golfo di Salerno e apre il passo al litorale cilentano. Siamo ancora una volta, questa volta per via mare, totalmente dentro il parco nazionale del Cilento e degli Alburni.

C’immergiamo tra gli scogli taglienti che affiorano dall’acqua, approdiamo sulle spiagge ciottolose, fotografiamo il volo basso dei gabbiani attorno al faro che gonfia le onde, riposiamo come soliti bambini sotto la frescura dei pini modellati dal vento.

Ci tuffiamo mille volte in questo mare azzurro, viola, trasparente, e non ci manca niente. Forse perché il mare non tace mai, anche quando è calmo e nel suo silenzio esige concentrazione e devozione.

Ed è qui la magia: ci stacchiamo da pensieri inutili e rumorosi per darci a quello che stiamo vivendo.

Ma dobbiamo pur tornare di nuovo al porto, quello di Ogliastro, dove ad aspettarci si staglia più nitido e cangiante lo scenario roccioso che dalla pineta di macchia mediterranea degrada fino al mare.

Un ultimo tuffo tra la risacca e il rabbuffo del mare. Le onde si stanno agitando, ma gli Outdoorini ce l’hanno fatta anche questa volta.

In fondo, chi non s’avventura non ha ventura.

“Per sempre me ne andrò per questi lidi,
Tra la sabbia e la schiuma del mare.
L’alta marea cancellerà le mie impronte,
E il vento disperderà la schiuma.
Ma il mare e la spiaggia dureranno
In eterno.”
(Kahlil Gibran, 1926)