23 Aprile 2018 - 10:00

Molly’s game: la recensione della pellicola di Aaron Sorkin a cura di Zon.it

Molly's game

Con Molly’s Game, Aaron Sorkin racconta l’allucinante storia di una donna che costruisce un impero del gioco clandestino, a Hollywood. Le sue bische sono frequentate da uomini d’affari, ma c’è un’incognita: la mafia russa

Molly’s game. È questo il titolo del film che vede l’esordio alla regia del premio Oscar Aaron Sorkin, noto per “L’arte di vincere”, “The Social Network” e “Steve Jobs”.

La pellicola, che vede un cast stellare con Jessica ChastainIdris ElbaKevin Costner e Michael Cera, è tratta da una storia vera, basata sul memoriale omonimo.

La protagonista è Molly Bloom, ex campionessa di sci che, dopo la fine della sua carriera, naufragata per un infortunio, e prima dell’inizio dei suoi studi in legge, si dedica all’organizzazione di partite di poker clandestine a cui partecipano star hollywoodiane.

L’ascesa della principessa del Poker

Nel 2004, la giovane Molly Bloom sbarca a Los Angeles in cerca di una nuova avventura in grado di darle la stessa adrenalina che assaporava nelle competizioni sportive. Infatti, una brutta scivolata, in pista, le mutilò una carriera olimpionica promettente.

Un caso fortuito che si verifica una volta su un milione la fece rotolare giù, nella neve.
Lo schianto fu violento. Riuscì a sollevarsi sulle gambe solo grazie all’aiuto di suo padre.

Ma Miss Bloom non ama perdere. Fa sue le parole di Winston Churchill, che intende il successo “la capacità di passare da un fallimento all’altro, senza perdere l’entusiasmo.” La giovane di entusiasmo ha da vendere. Il successo? L’avrebbe di lì a poco guadagnato.

Comincia a lavorare come assistente di un organizzatore di partite clandestine di poker ma poi, licenziata, decide di dare vita alla sua società: il buy-in sarà di 250.000 dollari.

Le cose si complicano

Le munifiche mance che le permettono di vivere una vita sfavillante ma anche l’atmosfera seducente di quelle serate a base di soldi e potere, fanno sì che, dopo Los Angeles, la principessa del Poker decida trasferire la sua “bisca” nella meravigliosa New York.

È proprio qui che la sua preziosa fortuna comincia a tradirla: il business milionario della bella Molly irretisce non solo semplici uomini d’affari, ma anche la pericolosa mafia russa, desiderosa di prendere il controllo della sua attività. Presto, sulle tracce di Miss Bloom e dei suoi segreti, appare anche l’FBI.

Il suo avvocato difensore, Charlie Jaffey, inizialmente riluttante a difenderla, riconosce in lei dei principi morali solidi e una determinazione fuori del comune. Decide così di accettare l’incarico, richiedendo una sentenza di condanna più blanda di quella che pare prefigurarsi. Riuscirà la donna a cavarsela, anche questa volta?

Miss Bloom, donna dominante in un mondo maschile

Molly Bloom custodisce un segreto. Quest’ultimo non è nel suo nome, il quale non rappresenta uno pseudonimo in omaggio a James Joyce e alla moglie fedifraga più famosa della letteratura occidentale: è semplicemente il suo nome. Il segreto di Molly Bloom è, invece, nelle pieghe del suo passato.

Suo padre la illumina sul perché abbia deciso di intraprendere una strada pericolosa, quando avrebbe potuto investire altrove il proprio indiscutibile talento. Le dice, prima da genitore e poi da psicologo: “L’hai fatto per avere potere sugli uomini di potere”.

Molly, nonostante il rapporto con il padre fatto di aspettative infrante e rancori repressi (classico cliché d’oltreoceano), è una donna dominante in un mondo maschile.
La sua dignità non va ricercata nel buonismo forzato, bensì nell’amor proprio che le fa ammettere, a pochi istanti dalla fine: “Sono dura a morire“.

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