13 Aprile 2017 - 13:49

La perduta essenza della fotografia, la non poesia dell’era social

La perduta essenza della fotografia, la non poesia dell'era social

Tutti fotografano tutto e inevitabilmente … si auto-immortalano. E così la coatta condivisione social che ne consegue sta uccidendo la poesia della fotografia, la sua stessa essenza

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La perduta aura della fotografia, in mezzo al nuovo gap sociale dei dilettanti dell’obiettivo – tra chi vanta presunte abilità tecnico-artistiche, e chi attribuisce tutto il merito alla costosa tecnologia dell’ultima reflex – è quella che oggi fa avvertire ai pochi non-fotografi “un crescente isolamento”, come scriveva Calvino.

La perduta essenza della fotografia, la non poesia dell'era socialNei viaggi, nelle escursioni si è perso ormai il gusto dell’esperienza e dell’esplorazione, sembra essere rimasto solo la gioia della caccia all’immagine perfetta.

A ciò si aggiunge l’incapacità di raccontare quanto si è visto: difficilmente nelle iconostasi dei social si rilevano significativi racconti fotografici, elaborati da un occhio critico, dallo studio di un preciso punto di vista. Ecco perché la fotografia ha perso ogni insita poesia.

 

“Il passo tra la realtà che viene fotografata in quanto ci appare bella e la realtà che ci appare bella in quanto è stata fotografata, è brevissimo”. L’avventura di un fotografo di Italo Calvino (da Gli amori difficili)

La perduta essenza della fotografia, la non poesia dell'era social

Al concitato momento della foto di gruppo, al passante che si prestava a fare lo scatto, di incerto e spesso infelice risultato (io non l’avrei fatta così!) si sostituisce la più kitsch e temuta asta o bastone, che dir si voglia, da selfie.

Senza contare l’ormai quasi desueta attesa e curiosità legata alla fotografia analogica, a quel tempo che separava dal rivivere un preciso attimo, dall’avere la propria memoria tra le mani. 

Fondamentalmente oggi il gusto della fotografia non è più ingenuamente commemorativo, né un gesto naturale di meraviglia dinanzi a qualcosa che vorremmo poter non dimenticare mai: tutto ciò che si decide di fotografare, una volta immortalato dall’obiettivo, ucciderà ogni residuo di spontaneità nella sua stessa condivisione.

L’amarezza quindi sta nel constatare che si prova maggiore piacere nel condividersi all’istante, in attesa di piogge di like e commenti, che del rivedersi “sentimentalmente” nel futuro, in un giorno malinconico in cui ritrovarsi così diversi e invecchiati, nel ricordare qualcosa ormai distante nello spazio e nel tempo.

La perduta essenza della fotografia, la non poesia dell'era socialEppure per pochissimi la realtà fotografata conserva ancora il suo carattere nostalgico, in quanto forse già ci allontana dal presente.

C’è forse in questo atteggiamento un feticismo latente, che sottende all’atto fotografico. Evidentemente per i nostalgici dell’analogica, come della fotografia in genere, solo l’immortalare il momento può dare la tangibile sensazione del possesso della giornata appena trascorsa, così che ogni dettaglio e la sua stessa memoria possano diventare davvero nostri. Il resto annega già in un sbiadito e sempre dubbio ricordo.

“E la vita che vivete per fotografarla è già in partenza commemorazione di se stessa”. L’avventura di un fotografo di Italo Calvino (da Gli amori difficili)

Nei prossimi giorni di gite fuori porta toccherebbe riprovare a fotografare anche solo con la mente. Perché la foto in sé stessa è sterile, se non è vissuta, intessuta di profumi, sensazioni, aneddoti, compagnia (e non condivisione) e soprattutto stupore.

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