11 Settembre 2021 - 12:26

Ricordando l’11 settembre: 20 anni dopo l’attacco

11 settembre

A 20 anni di distanza dall’attacco dell’11 settembre, 1,106 vittime aspettano ancora di essere identificate. Il New York Times dedica una pagina ai ricordi e quel giorno riappare nitido tra la nebbia delle macerie. Cos’è davvero cambiato da quel giorno?

“Il prima e il dopo”

Negli anni, l’attacco al cuore finanziario della città di New York sembrò segnare una nuova linea di demarcazione, distinguendo tutto ciò che fu prima dell’11 settembre da ciò che inevitabilmente seguì dopo. I ricordi restano, sì, ma possono cambiare, subire variazioni nel corso degli anni, presi dal lavoro, dai problemi o semplicemente dalla vita quotidiana, che inevitabilmente, “va avanti”.

Proprio per questo motivo, soltanto poche ore dall’attacco al World Trade Center, il Center for Oral History della Columbia University si interrogò su cosa, quel fatidico giorno, avrebbe significato in futuro, a distanza di 50 anni.

È così che tre giorni dopo l’attacco, Mary Marshall Clark, direttore del centro di ricerca della Columbia University, iniziò a raccogliere le storie e le voci di circa 200 newyorkesi che acconsentirono all’epoca a partecipare al progetto, con lo scopo di conservare quei ricordi intatti, prima che il tempo facesse lentamente il suo corso. Una sorta di memoriale contro lo sbiadirsi del tempo, per ricordare quel tragico evento con gli stessi occhi di 20 anni prima:

Ciò che è incredibile è che ci fu un prima e un dopo: un momento proprio prima dello schianto del secondo aereo contro la torre sud e un momento subito dopo, ed è come se si trattasse di due mondi completamente diversi. Davvero, ricordo il secondo esatto in cui il mondo, così come la mia vita, cambiarono per sempre.

“Ricordando l’11 settembre: 20 anni prima”

Alle 7:59 di quella che sarebbe stata una mattina soleggiata, il volo 11 dell’American Airlines lasciava il Logan International Airport di Boston, insieme a 76 passeggeri, 11 membri dell’equipaggio e 5 dirottatori.

Di quella mattina, Ivy Barsky, direttore del Museo Ebraico di New York, mantiene intatto il ricordo di una “corsa mancata“: “Pensai tra me e me, ‘Cavolo, sono in ritardo; forse dovrei prendere la linea E’. Avrei potuto prendere la linea E fino alla 53esima strada per poi fare un cambio con la linea 6, fino alla 4 o 5 fino al World Trade Center e da lì andare a piedi, oppure prendere un unico treno e arrivare a destinazione“.

“Ricordo di essermi sentito un po’ in colpa, ma pensai ‘Sai che c’è, non ho nessuna riunione prima delle 11; me la prenderò con calma’, quindi decisi di prendere la linea R e in quel momento le porte della linea E si chiusero davanti a me, così attesi la corsa successiva‘.

“Fu soltanto giorni dopo l’11 settembre che ripensai al ragionamento fatto quella mattina e adesso mi chiedo cosa sarebbe successo se fossi stato su quel treno, perché realizzai che se avessi preso la linea E, sarei arrivato con ogni probabilità al World Trade Center proprio verso l’orario dello schianto“.

Alle 8:14 il volo 175 della United Airlines lascia il Logan Airport insieme a 51 passeggeri, 9 membri dell’equipaggio e 5 dirottatori.

Alle 8:19, due assistenti del volo 11, Betty Ong e Madeline Amy Sweeney comunicano all’American Airlines di essere vittime di un dirottamento; il centro di controllo allarma immediatamente l’FBI.

Dalle registrazioni di quel giorno è possibile ascoltare un’agente dell’FBI chiedere al centro di controllo: “Stai parlando seriamente o si tratta di un’esercitazione?” Per poi ricevere come risposta “Nessuna esercitazione, è tutto vero”.

Alle 8:20 un altro aereo, il volo 77 dell’American Airlines lascia il Dulles International Airport vicino Washington, insieme a 53 passeggeri, 6 membri dello staff e 5 dirottatori. Subito dopo il volo 93 della United Airlines si accinge a lasciare il Newark International Airport, insieme a 33 passeggeri, 7 membri dell’equipaggio a 4 dirottatori.

Alle 8:46 risuona un boato, il volo 11 colpisce la torre nord del World Trade Center. In quel momento le prime notizie parlano di un incidente. Un aereo colpisce per sbaglio l’edificio.

“L’ascensore mancato”

Keith Meerholz, vice presidente della Marsh & McLennan, quel giorno avrebbe dovuto raggiungere il suo ufficio al 100esimo piano della torre nord. A causa di un ascensore troppo pieno però, Meerholz non arrivò mai al suo ufficio, salvandosi così la vita:

Stavo leggendo il giornale e con gli occhi nel frattempo seguivo i piedi delle persone di fronte a me, – saranno state 5 o 6 – tutte in fila per prendere l’ascensore. Le porte dell’ascensore destro si aprirono in quel momento e tutti si fiondarono dentro, io continuai a leggere il giornale“.

“Notai che l’ascensore era quasi pieno, c’era giusto un piccolo spazio di fronte alle porte, così pensai ‘Sai che c’è, aspetterò il prossimo, non voglio essere schiacciato come una sardina fino al 100esimo piano’ e come molte persone sanno, non bisogna premere il pulsante fino a che le porte non si chiudono completamente, altrimenti avrebbero continuato ad aprirsi”.

Così aspettai che le porte si chiudessero. Il pulsante era proprio lì vicino, così lo premetti e divenne rosso. In quel momento però, le porte dell’ascensore sulla mia sinistra si aprirono e non appena girai la testa ci fu lo schianto“.

“Corri, corri!”

Al momento dello schianto, Lucia Caputo si trovava al 78esimo piano della torre nord quando un cumulo di cenere e detriti inghiottì quello che fino a qualche istante prima era stato il suo ufficio:

A un certo punto, sarà stato intorno alle 9, ci fu un esplosione assordante e la torre iniziò ad oscillare a destra e sinistra. C’era polvere ovunque, gli allarmi dell’edificio iniziarono a suonare e le luci si spensero. Pensai che l’esplosione dovesse provenire dalla stanza affianco perché fu talmente forte da sembrarmi così vicina.”

“Così mi precipitai fuori dal mio ufficio per capire cosa stesse succedendo, ma non riuscì a vedere nulla perché c’era polvere ovunque, quasi una nebbia impenetrabile. Sentii persone piangere e urlare, ma non riuscivo a vederle e pensai si trovassero dall’altro lato del piano, dove doveva essere avvenuta l’esplosione. Non sapevo di che tipo di esplosione si trattasse, così tornai nel mio ufficio e decisi che sarei dovuta scendere al piano di sotto. Così presi dei tovaglioli, una bottiglia di acqua minerale, il mio cellulare e una torcia. Mentre mi dirigevo al piano inferiore ricevetti una telefonata dal mio amico giornalista che aveva visto tutto in diretta sulla CNN e mi stava chiamando per dirmi “Un aereo si è schiantato contro il World Trade Center, esci il prima possibile. Corri, corri!“.

Corsi fino al 50esimo piano che era pieno di persone provenienti da tutti gli altri piani. Allo stesso tempo, arrivarono molte persone dai piani superiori visibilmente ferite. C’era una donna senza più un lembo di pelle. Era come guardare una patata bollita che aveva perso tutta la buccia. Era un ammasso di carne cruda“.

“Sagome in volo”

Alle 8:50 il presidente George W. Bush viene informato dello schianto contro la torre nord del World Trade Center. In quel momento il presidente si apprestava a leggere un discorso agli studenti di seconda elementare della Booker School, a Sarasota, Florida. Il discorso non fu mai interrotto.

Barbara Pickell di quella mattina conserva un ricordo in particolare, quello delle “sagome in volo“:

“Tutti hanno iniziato ad urlare perché si potevano vedere le persone saltare giù dall’edificio. All’inizio non riuscì a vedere nulla perché era troppo alto, ma nel momento in cui quelle sagome cominciavano a venire giù, iniziai a capire. Potevi vedere delle ombre di un nero fitto venire giù e improvvisamente realizzai che quelle erano persone in carne ed ossa. Una persona, in particolare, stava precipitando nella nostra direzione. Ancora ora ho un ricordo vivido di quella persona, di quell’uomo, alto e snello, indossava un abito nero e sembrava totalmente cosciente mentre precipitava verso il suolo”.

La torre sud

Alle 9:03, il volo 175 colpisce la torre sud. In quel momento, Amanda McGowan si trovava negli uffici d’investimento bancario all’89esimo piano:

Aspettavamo che l’ascensore partisse, ma niente. Erano all’incirca le 9:01 e l’ascensore proprio non voleva saperne. Qualche volta succede che le porte ci mettano un po’ a richiudersi in questi ascensori, ma mai così lentamente. Continuammo ad aspettare, ma niente. A nessuno in quel momento venne da dire “Beh, forse è meglio uscire da quest’ascensore”, ma improvvisamente le porte iniziarono a chiudersi ed io ero proprio vicino alla soglia. Erano quasi totalmente chiuse quando – boom! Fu proprio come ricevere uno schiaffo da una mano gigantesca -bam! Ci sentimmo piccoli come lillipuziani e improvvisamente ci gettammo tutti a terra‘.

Alle 9:05, il presidente Bush viene informato del secondo schianto. Alle 9:31, il presidente parla alla nazione annunciando di essere bersaglio di ‘un apparente attacco terroristico‘.

Alle 9:37, un terzo aereo, il volo 77 colpisce il Pentagono.

Alle 9:59 la torre sud collassa su se stessa.

Alle 10:03, dopo i tentativi fatti da alcuni passeggeri del volo 93 per riprendere il controllo dell’aereo, i dirottatori pensano a un piano d’emergenza e si schiantano contro un campo a Shanksville.

“La corsa contro il tempo”

Dopo il crollo della torre sud sarebbero trascorsi 29 minuti esatti dal crollo della torre nord. Una corsa contro il tempo, come quella di Zaheer Jaffery, che in quel momento si trovava negli uffici del 65esimo piano.

Camminavo a fatica, tanto che due o tre persone si offrirono di portarmi in braccio, ma io risposi di no, che sicuramente qualcun altro avrebbe bisogno del loro aiuto. L’acqua era ormai arrivata alle caviglie, era tutto scivoloso e viscido. Ricordo che in quel momento capii di quanto la situazione fosse seria perché le persone iniziarono a correre e potevi sentire i volontari urlare ‘Uscite fuori dall’edificio prima che crolli! Uscite fuori dall’edificio prima che crolli!‘. In quel momento non credevo che l’edificio potesse davvero crollare, ma nel momento in cui raggiunsi l’uscita e guardai in alto dissi ‘Quest’edificio non reggerà'”.

Così continuai a camminare lentamente, a testa bassa. Erano circa le 10:15 e avrò fatto 200 metri, quando l’edificio venne giù tutto d’un colpo“.

Alle 10:28 la torre nord collassa.

Alle 20:30 di quello stesso giorno, il presidente Bush parlerà alla nazione, riferendosi all’America come “il faro più luminoso, simbolo di libertà e opportunità nel mondo“. Quella stessa sera il presidente dichiarerà guerra al terrorismo, riferendosi ai fatti dell’11 settembre come agli “atti del male“.

Le vittime mai ritrovate

Dopo vent’anni dall’attacco alle Twin Towers nel cuore pulsante d’America, 1.106 vittime non sarebbero ancora state identificate. Familiari, amici, cari scomparsi in quella calda mattina dell’11 settembre mai ritornate a casa.

Eppure, in questi 20 anni in America è stata condotta una delle più vaste indagini per persone scomparse mai vista prima, con analisi condotte su più di 22mila campioni di resti umani, recuperati dalle macerie delle torri nord e sud del World Trade Center. Ancora oggi, infatti, scienziati e ricercatori continuano il processo di analisi nel tentativo di un riscontro.

Come riportato dal New York Times, il mese scorso due detective hanno raggiunto Nykiah Morgan presso la sua abitazione di Long Island. Suo figlio, Dante, l’aveva avvisata poco prima: “Si tratta di nonna“.

L’11 settembre di vent’anni fa, Dorothy Morgan, madre di Nykiah, scompariva sotto la nube di macerie delle torri ormai collassate, stessa sorte toccata ad altre 2,753 persone, morte quella mattina dell’11 settembre 2011. Dorothy lavorava come broker assicurativa nella torre nord del World Trade Center.

Sua figlia non fu mai in grado di darle degna sepoltura, perché Dorothy non fu mai ritrovata. 20 anni più tardi però, due detective si presentano alla sua porta con importanti notizie da New York: Dorothy Morgan è stata identificata tramite un test del DNA.

“Non sapevo nemmeno che stessero ancora tentando dopo tutti questi anni, che ci fosse un’indagine ancora aperta”, confessa Nykiah. “Arrivati a questo punto, cos’altro puoi setacciare?”

Quello di Dorothy Morgan è uno dei primi riscontri positivi dopo tanti anni dal 2001, anno in cui centinai di corpi furono ritrovati. Dal 2005 in poi le identificazioni subirono un arresto notevole e quell’anno, l’agenzia addetta all’indagine dichiarò una chiusura momentanea dell’intero procedimento, non avendo ottenuto più nessun match dai campioni di DNA in possesso. Lo stesso anno però, le indagini furono riaperte e con l’ausilio delle nuove tecnologie fu possibile condurre nuovi test sui campioni di DNA precedentemente analizzati.

11 settembre: 20 anni dopo

Dall’11 settembre di 20 anni fa, tutto e niente sembra essere cambiato. Il volo, quello di un uomo lanciatosi dal 100esimo piano delle Twin Towers viene ora sostituito dal volo di un aereo americano in partenza da Baghdad, simbolo di un conflitto terminato esattamente 20 anni dopo.

Oggi il tempo ci ricorda di quell’attacco al cuore del mondo occidentale, tanto brutale quanto inspiegabile. Un colpo dritto al cuore del mondo libero e delle democrazie del mondo. Eppure, questi vent’anni spingono anche a stilare sorta di resoconto finale.

Questi vent’anni sono stati protagonisti di violenze e conflitti, soprusi e malcontenti. Anni occupati da guerre e violenze in tutto il mondo. Vent’anni di guerra in Medio Oriente. Anni in cui i sovranismi si sono dilatati, la democrazia si è indebolita e le discriminazioni contro i più deboli si sono acuite. In questi anni il mondo intero si è fatto portavoce di una globalizzazione economica, priva di sentimento e di uno stato di diritto dimenticato.

Vent’anni fa in Italia si consumava la strage del G8 di Genova, giorno in cui attivisti e manifestanti furono soppressi con la forza a discapito di quella tanto decantata libertà democratica del mondo occidentale.

L’asticella che oggi segna una fitta linea di demarcazione del “prima e del dopo” sembra così ricordarci di un tempo senza fine, un vortice da cui liberarsi malauguratamente soltanto con un altro memoriale, un nuovo giorno da ricordare, sperando in un volo di ripartenza e non più di distruzione. Un giorno per ricostruire e mai più demolire un sogno, un simbolo, una cultura, perché “la guerra contro il terrorismo” sia finalmente sconfitta in tutte le sue forme e in tutti i suoi molteplici volti. Perché questo non accada più, né ora né mai, non a noi né a nessun altro:

Guardai dietro di me e vidi Manhattan ricoperta da una nube apocalittica e dalle fiamme. La seconda torre era da poco crollata, fu per questo che sentimmo un boato travolgerci. Guardai quella scena dell’orrore proprio dietro le mie spalle: fumo, strani fasci di luce, un cielo paradossalmente meraviglioso, di un blu limpido, sopra tutto quell’inferno in terra“.

Ciò mi fece ricordare di un poster di propaganda della prima guerra mondiale, con su rappresentata la Statua della Libertà come vittima di un attacco di una nave nemica, da poco approdata nel porto di New York, con sotto scritto, ‘Non permettere che accada qui’ e io pensai, ‘Cavolo! Sta accadendo proprio qui‘”.