31 Ottobre 2020 - 17:15

USA: Trump e la “zappa sui piedi” con il Coronavirus e i medici

Trump

Messo alle strette, Donald Trump prova a scaricare la colpa dell’epidemia. Ma i dati in Florida evidenziano il responsabile della diffusione

Brancolare nel buio. Donald Trump sta imparando, pian piano, dopo quattro anni di presidenza, cosa effettivamente significhi. E la sensazione non gli sta piacendo. Per un uomo dalle mire capitalistiche e populiste, essere messo alle strette dai dati non fa mai bene. Questo perché è semplicemente abituato a condurre lui il gioco, portare e orientare il dibattito a proprio piacimento nella speranza di nascondere le proprie storture. E questo il presidente degli Stati Uniti ha saputo farlo, fin quando non è piombata la pandemia a presentargli il conto.

E proprio quest’ultimo sta evidenziando in modo alquanto palese tutte le difficoltà di una gestione a dir poco disastrosa. Il problema (o meglio, la strategia) della destra mondiale (non solo americana) è che ha bisogno, ogni volta, di identificare un nemico, di farsi terra bruciata intorno, per far risaltare il principio personalistico dei partiti conservatori. Questi ultimi, da una trentina d’anni a questa parte, hanno radicalmente cambiato la propria matrice. Ora sfruttano la persona, il singolo, per farsi ben volere da una massa intera, che puntualmente finisce ammaliata, in balia della potenza delle parole e del carisma di un elemento.

Questa volta Donald Trump ha preferito riversare nuovamente la sua indignazione nei confronti di una classe ben specifica: i medici. Forse siamo al punto più basso toccato durante questa campagna elettorale, già indegna di suo. Formulare la teoria del complotto, secondo cui i medici si arricchirebbero ulteriormente lasciando morire i propri pazienti di COVID, non è solo grottesco. Ora diventa una faccenda pericolosa, un delirio di onnipotenza di un pazzo che ha perso completamente il senso della misura.

Assumersi le proprie colpe

Sembra che non sia passato nemmeno un giorno. Eppure il problema è ormai qualcosa di ben radicato, ha avuto tutto il tempo di proliferare indisturbato per colpa della cecità di Donald Trump. Nonostante tutti i morti sulla coscienza, a causa soprattutto della propria negligenza nei confronti di una minaccia ben peggiore di quanto il presidente potesse pensare, quest’ultimo continua a fare orecchie da mercante. E questo nonostante lui stesso abbia sofferto della patologia, e abbia speso un occhio della testa per curarsi con anticorpi monoclonali. Una cura che praticamente in America non può permettersi nessuno, se non i “ricconi” con un enorme capitale a disposizione per pagarla.

E allora, a questo punto, le colpe sono da dividere. Perché, se è vero che Donald Trump si presta ad un meccanismo di “rafforzamento”, in modo da non svilire la propria immagine, il popolo americano repubblicano pende dalle sue labbra. Un tempo si poteva disquisire sull’effettiva pericolosità sociale con il suo forzare la mano sullo stop dell’immigrazione. Ora, però, entra in gioco la salute. Ed è una cosa radicalmente diversa, nonché molto più grave. Le vittime negli USA hanno raggiunto ormai livelli incredibili (230.000 vittime). Stiamo parlando di più della metà delle vittime americane durante la Seconda Guerra Mondiale.

Ma lì si lottava per estirpare il mondo dalle dittature e (dall’altro lato) per tentare a far prevalere la propria egemonia anche in campo europeo. Qui, invece, le conquiste da fare non esistono. Si tratta di un problema salutare, di egual importanza rispetto ad una guerra. Perché? Perché così come nella guerra si lotta per sopravvivere, anche qui la lotta è tra la vita e la morte. E sbeffeggiare e ridicolizzare il parere di chi vive la lotta in prima linea significa non solo deludere dal punto di vista dell’intelligenza, ma darsi una grandissima “zappata sui piedi” coinvolgendo tutta la nazione e degli innocenti. Tutto, nuovamente, per promuovere la propria immagine e il proprio profilo. Ecco perché le elezioni sono fondamentali: per permettere all’America di liberarsi dalla dittatura (quella sì) dell’apparenza.