Eurostat: la “trave” nell’occhio degli italiani mammoni
L’Eurostat, istituto statistico europeo, rileva come i “giovani adulti” italiani siano fra i più “mammoni” d’Europa. Cosa nasconde, però, questo dato allarmante?
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Una nazione che possa ritenersi tale, mira non solo allo sviluppo interno ma anche, e soprattutto, alla tutela della gioventù che in futuro sarà chiamata ad amministrare l’intero territorio.
Non sempre, però, la situazione risulta essere ottimale ed in particolari casi, come quello italiano, le nuove generazioni sembrano diventate, addirittura, un vero e proprio problema.
Dopo i “bamboccioni” e i “choosy” ,i “giovani” italiani si sono ritrovati, in un sol colpo, nel magico mondo dei “mammoni”.
E’ questo il dato rilevato da Eurostat che, attraverso un campione di ragazzi compresi fra i 18 ed i 34 anni, ha constatato come i giovani adulti italiani abbiano la tendenza a rimanere fra le mura domestiche.
La rilevazione di Eurostat, che pone l’Italia ad anni luce di distanza da diverse realtà europee (tra cui Francia e Germania, oltre alle sempre note “terre del nord”), traccia, purtroppo, un solco fra quella che è la quotidianità nazionale e le aspettative di realizzazione delle nuove generazioni.
Attraverso il dato, infatti, è possibile riscontrare una delle situazioni più tragiche del bel Paese, individuabile nel dispotico regime di incertezza assoluta in cui sono stati catapultati gli under 35.
Le cause
Quel 67,3% di ragazzi che decidono di rimanere nell’abitazione di famiglia è frutto non solo della crisi economica che attanaglia l’Italia da diversi anni ma di chiare, e nette, scelte politiche che hanno imposto un regime di precarietà permanente in cui l’unica ancora di salvezza è rappresentata dai genitori.
In sostanza, attraverso le innovazioni introdotte attraverso il Jobs Act, si è messo in moto un circolo vizioso che da un lato ingolfa totalmente il mercato del lavoro e dall’altro impedisce a chiunque di progettare un una vita normale.
Per quanto riguarda il primo punto, come più volte constatato, si può dire che all’interno del mercato del lavoro è stata inserita una doppia logica basata tanto sui “potentati”, divenuti sempre più artefici del destino altrui, quanto sulla concorrenza interna sfrenata e senza esclusione di colpi.
Questo ultimo elemento, basato sempre più su una visione hobbesiana, rappresenta il pilastro di una nuova concezione del lavoro in cui il colpevole della perdita dell’occupazione è, guarda caso, il lavoratore stesso che non si è totalmente genuflesso ai voleri del datore di lavoro.
Il secondo elemento, invece, si lega alla totale perdita di qualsiasi tipo di garanzia di continuità lavorativa dettata dalla cancellazione dell’art.18 dello statuto dei lavoratori.
La totale esposizione al rischio (lavorativo si intende) ha reso il lavoratore un precario a vita, la cui condizione non permette in alcun modo di concepire un futuro con una famiglia o, magari, dei figli (Ipse dixit Lorenzin).
Proprio per questo motivo, come evidenziato giustamente anche da Eurostat, perfino coloro che godono di un regime salariale regolare, ritengono più sicuro continuare a rimanere nella casa paterna, con tanto di risparmio su determinate “spese accessorie”, piuttosto che rischiare, e magari perdere tutto da un giorno all’altro, di ritrovarsi senza nulla e con una marea di debiti tra le mani.
Quando uno Stato considera le nuove generazioni come un problema, non ci potrà mai essere un futuro per l’intera popolazione.
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