8 Giugno 2021 - 12:38

Voci spezzate: Michele Merlo, Silvia e Cranio Randagio

Michele Merlo

Le storie di Michele Merlo, Silvia Capasso e Cranio Randagio: il sogno di vivere di musica, passato attraverso un talent, infranto da un destino imprevedibile e beffardo

A leggerlo oggi, il suo ultimo post Instagram suona come un oscuro presagio di ciò che di lì a poco sarebbe accaduto: quel male alla gola e alla testa, inizialmente scambiato per una banale e assolutamente gestibile forma influenzale, non sarebbe più andato via. Quando il sole ha cominciato a tramontare sulla sua vita Michele Merlo, cantautore ventottenne originario di Marostica (Vicenza) cresciuto a pane e Kings of Leon, era a casa della sua fidanzata: prima il malore, poi la corsa folle e disperata in ambulanza al Maggiore di Bologna, l’intervento d’urgenza e il coma farmacologico. Il buio ha avvolto Michele (“fragile, duro, a tratti arrogante ma mai prepotente”) domenica 6 Giugno, erano circa le 21.45.

Sul palco dell’Arena di Verona in quegli stessi istanti, Emma Marrone che di Merlo è stata coach ad Amici 2017, il pubblico all’epoca lo conosceva come Mike Bird, stava cantando per lui Trattengo il Fiato (una delle canzoni dell’interprete salentina che Mike amava di più) sperando che la sua energia, la sua fame di vita – e quella di altri cinquemila cuori palpitanti per il primo concerto vissuto dopo più di un anno di grande solitudine – potessero bastare a salvarlo, a tenerlo aggrappato al filo di tutti i sogni che aveva ancora da realizzare.

C’è tanta rabbia, oltre all’indicibile dolore ed incredulità,  attorno alla morte di Michele Merlo, che aveva deciso di usare artisticamente il suo nome di battesimo appena un anno fa, a margine della pubblicazione del suo primo album completamente in italiano “Cuori Stupidi”. E non solo perché la malattia che l’ha colpito, la leucemia promielocitica acuta, se diagnosticata per tempo, è perfettamente curabile, ma soprattutto per la sua giovane età.

Nessuno dovrebbe morire a 28 anni, non con mille cassetti pieni di sogni ancora da aprire: tra quelli di Michele Merlo, “burrascoso da sempre”, c’era calcare il palco del Festival di Sanremo: ci aveva provato nel 2020, con lo pseudonimo Cinemaboy, presentando alla commissione artistica delle Nuove Proposte il brano “Vorrei proteggerti dal mondo”.

Michele, che nelle parole che ieri gli ha dedicato Maria De Filippi assume in sé la dualità dei personaggi di Vittorio Alfieri, continuamente in lotta tra la tentazione di cedere alla malinconia e la necessità di aprirsi al mondo con un sorriso acceso e luminoso , un cantautore intenso, con la capacità che quasi spaventava i più di guardarsi dentro e di scavare negli abissi dell’animo umano,  la burrasca se la portava nel DNA e trovava un equilibrio solo quando era sul palco a cantare.

Era per questo che voleva vivere di musica, sulle orme dei suoi miti (tra gli Arctic Monkeys e Jeff Buckley) sempre con in braccio la chitarra o seduto al pianoforte, che aveva imparato a considerare amici dopo un lungo periodo di “apprendistato musicale” a Londra, all’indomani della maturità, nel quale alternava il sogno di diventare una rockstar al lavoro di magazziniere.

E come lui volevano vivere di musica anche Silvia Capasso e Cranio Randagio ma anche le loro voci, dopo aver conquistato le platee televisive come una promessa infranta troppo presto, sono state spezzate da un destino beffardo e imprevedibile.

Lei aveva 35 anni quando un aneurisma cerebrale ha spento tutto il coraggio che aveva nella voce, lo stesso con cui aveva raccontato in diretta televisiva di amare una donna: a The Voice of Italy nel 2014 Silvia ha militato nella squadra di Noemi che, qualche giorno dopo la sua morte avvenuta a Dicembre 2016, le dedicò durante un concerto una delle canzoni più intense del suo repertorio, Amen.

Amen, che significa “così sia”. Una parola semplice, ma che ci spinge ad una grande assunzione di responsabilità: accettare la vita per come ci si para davanti, che siano schiaffi o carezze, anche nei suoi disegni più terribili e incomprensibili.  Ma è tutt’altro che semplice, ci vuole un gran coraggio; lo sa bene la mamma di Vittorio Bos Andrei, che il pubblico di X Factor ha conosciuto come lo “pseudo-rapper paranoico” Cranio Randagio. Come posso accettare, quale disegno può mai esserci dietro la morte di un figlio che a 22 anni va ad una festa per non fare mai più ritorno?

Cosa resta, allora? Ci sarà mai nel mondo qualcosa che farà una luce talmente forte da rischiarare il tunnel della rabbia? Sarà una magra consolazione, ma io credo di sì: resta la musica. Negli anfratti del suo dolore, un giorno il padre di Michele Merlo (che oggi di lui  vede solo un braccialetto con il codice a barre mentre ascolta incessantemente l’ultimo messaggio vocale, “Dicono che intaso il Pronto Soccorso per due placche in gola“) ritroverà la voce di suo figlio nelle canzoni che ha scritto, qualcuna di queste magari pensando a lui.

E queste canzoni forse un giorno si faranno memoria, personale e collettiva, trovando spazio in una storia in musica scritta solo per lui (l’ex di “Amici 20” Aka7even ha già annunciato via Twitter di voler scrivere una canzone per il collega) o un album postumo, come quello che, in memoria di Cranio Randagio, è stato dato alle stampe nel 2018: l’ep Come il Re Leone, 9 tracce e tre featuring, con Rancore (Lupi della Notte), Gemello (Sabbia) e Vittorio Andrei, suo fratello (Impacchetta Tutto).