Il Ministro Franceschini “impone” programmazione italiana a Netflix
Fa discutere un’intervista rilasciata a La Stampa dal Ministro Franceschini che vorrebbe imporre un obbligo di programmazione di prodotti italiani a Netflix
Caro Ministro Franceschini, ti spiego perché, quello che hai di recente dichiarato al quotidiano La Stampa è una corazzata pazzesca.
La tua idea di imporre anche a Netflix una percentuale di programmazione di titoli italiani, sul modello dei nuovi decreti attuativi della legge Cinema, fa acqua da tutte le parti: innanzitutto perché Netflix è un servizio over the top, cioè produttivamente operante su scala internazionale e non in quanto mezzo di costruzione identitaria di un unico Paese; diciamoci la verità, se il problema è davvero l’identità della nostra Nazione credo che questo sia un problema da risolvere in ben altre sedi, l’industria culturale ne è solo, ahi noi, una diretta conseguenza.
“Caro Ministro Franceschini, il problema non è l’identità, è la qualità”
Tu Ministro, hai mai visto una serie tv di produzione italiana?
Prendiamo ad esempio Suburra, la prima produzione italiana di Netflix: orbene, la serie che vede il ritorno alla regia di Michele Placido è il perfetto esempio del perché la sua pretesa ha dell’inverosimile.
Suburra non funziona, e non perché mette in campo la solita ed inflazionata figura del criminale in cerca di riscatto, d’altronde anche Gomorra e Romanzo Criminale lo hanno fatto, ma lì il risultato è ben diverso. Ciò che non funziona è l’impianto narrativo del prodotto, improntato su una ridondanza, una riconoscibilità di stilemi che alla lunga annoiano. Un esempio pratico: in Suburra la prima scena ti fa sobbalzare, poi tutto si spegne in un flashback che dura tutta la puntata. Visti i primi tre minuti, potresti già passare all’episodio successivo.
“Caro Ministro Franceschini, quello che avrebbe dovuto salvarci, ci ha definitivamente (?) affossati”
La serie tratta dal film di Stefano Sollima, che del mordente della cinepresa del regista ha solo il marchio, avrebbe dovuto aprire la strada ad una nuova era nella produzione italiana di serie tv. Ma, tu lo sa bene, gli accordi di mercato vincono sempre: così ecco spuntare su Netflix, nei giorni precedenti l’uscita della serie con Alessandro Borghi, un numero imprecisato di titoli che strizzano l’occhio alla vecchia scuola italiana di narrare per immagini.
“Caro Ministro Franceschini, l’Italia non è pronta per un mercato così competitivo e perciò non può pretendere che il mercato l’ascolti”
L’Italia non è pronta, Ministro. Il suo pubblico non è pronto, è vero. Ma anche, o forse soprattutto, le maestranze che stanno dietro un prodotto audiovisivo.
La verità è che gli sceneggiatori non osano più, preferiscono trincerarsi dietro l’usato garantito. La verità è che la maggior parte dei registi, schiacciati dal peso di un’eredità difficile da metabolizzare, non riescono a costruire una loro identità, a porre la propria autentica firma, la loro e di nessun altro, su un prodotto.
La soluzione forse sarebbe, e mi scusi la presunzione, pensare prima di tutto alla formazione di queste figure, solo poi immetterle su un mercato che altrimenti e già pronto a masticarle e rovesciarle quando il box office dice Stop.
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